Archives: Aprile 27, 2021

Reggio Calabria avrà il Museo del Mare, finanziamento da 53 milioni di euro

Fonte: Gazzetta del Sud online

Reggio Calabria avrà il Museo del Mare progettato dalla compianta archistar Zaha Hadid. Lo ha annunciato il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà. «Adesso è ufficiale. Siamo riusciti – afferma sui social il primo cittadino – grazie alla disponibilità del Governo ed in particolare del Ministro Dario Franceschini, e grazie all’interlocuzione promossa da Anci con il Presidente Antonio Decaro, ad ottenere il finanziamento del progetto del Museo del Mare di Zaha Hadid». In totale 53 milioni di euro destinati a Reggio Calabria, inseriti nel masterplan delle risorse disponibili per gli attrattori culturali delle Città Metropolitane. «Il progetto è stato ritenuto dal Governo strategico per lo sviluppo dell’intero Paese, a dimostrazione – conclude Falcomatà – di quanto sia importante investire le risorse del Recovery soprattutto nel Mezzogiorno. Perché se riparte il Sud riparte l’Italia»

Il finanziamento di 53 milioni di euro premia il lavoro costantemente portato avanti dall’amministrazione comunale in questi anni, capace di ridare dignità e autorevolezza alla nostra Città, individuata dal Ministero come sede di uno dei finanziamenti più cospicui inseriti nel piano a livello nazionale. Adesso tocca a noi, tocca alla nostra comunità meritarsi l’attenzione e la fiducia riposta con l’assegnazione di questi fondi, attivando immediatamente l’iter amministrativo per arrivare alla cantierizzazione dell’opera. Dopo la realizzazione del waterfront, che sarà inaugurato a breve – ha concluso Falcomatà – e le altre opere di rigenerazione urbana che stanno ridando slancio all’economia e decoro urbanistico al paesaggio sull’intero frontemare cittadino, da Bocale a Catona, adesso siamo finalmente in grado di incastonare il gioiello che renderà ancora più unico e prezioso il tratto costiero della nostra città”.


Calabria e calabresi nel mondo: un approccio sistemico con una visione 4.0

Maria Loscrì

È una terra inquieta, quella di Calabria, in cui da secoli, ormai, si compie una rivoluzione lenta ma inesorabile, silenziosa, messa in atto, spesso in modo del tutto inconsapevole, da chi è costretto ad emigrare. Dall’Unità di Italia ad oggi, l’Italia è stato un paese profondamente segnato dall’emigrazione e la Calabria è stata ancor più intensamente incisa dalla partenza di giovani e meno giovani che hanno lasciato la terra natia per non farvi più ritorno, se non in veste di vacanzieri, più o meno occasionali. Ad una prima e intensa ondata migratoria post unitaria, caratterizzata, prevalentemente, da spostamenti oltreoceano, è succeduta una seconda fase, a partire dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso, con prevalenza dei flussi in direzione dell’Europa. L’emigrato dei nostri giorni, invece, ha caratteristiche totalmente diverse rispetto al passato: il livello di istruzione è sempre più elevato, emergono nuove figure quali quelle dei nonni-genitori che trascorrono periodi sempre più lunghi all’estero, con figli e nipoti ed anche quelle dei migranti previdenziali, ovvero pensionati che si spostano a vivere in paesi in cui è in corso una politica di defiscalizzazione.

Per contro, vengono sempre più alla ribalta movimenti di idee e di pensiero che, appellandosi alle moderne proposte di turismo delle radici e turismo della memoria, trovano sempre più compiuta organizzazione in proposte formative accademiche, in modelli socio-culturali ed economici sostenuti a livello istituzionale e, più raramente, in slogan di appassionati cultori degli esigui fondi regionali che potrebbero essere destinati alla promozione dei viaggi della ri-scoperta delle identità perdute.

Sia i luoghi dell’esodo che quelli della partenza sono da sempre profondamente ridisegnati dal fenomeno migratorio: da una parte vi sono storie di dolore, di dispersione, di abbandono, di erosione di un sistema antico che viene lasciato alle spalle, dall’altro vi è un mondo nuovo che ha attirato a sé l’alterità, che ha ingenerato speranze e aspettative, che ha spinto al mutamento e alla ricerca del nuovo.

È un intero tessuto culturale, sociale, economico e anche politico che viene in considerazione quando si parla dei fenomeni migratori, vecchi e nuovi, e per la Calabria il peso è ancora più gravoso rispetto che altrove. Una terra di grandi contraddizioni, di contrasti geografici, climatici, storici, antropologici, quale è la nostra, esprime anche in ordine all’emigrazione e alle dinamiche che caratterizzano il fenomeno, zone chiaroscurali, pressappochismo e vecchie logiche di sistemi che stentano a tramontare, pur inneggiando all’esigenza del nuovo.

È fuor di dubbio che i figli di Calabria abbiano espresso talenti e virtù nei luoghi che li hanno accolti, così come è fuor di dubbio che la nostra regione possa vantare bellezze paesaggistiche, ricchezze enogastronomiche, peculiarità del Patrimonio Culturale la cui narrazione molto spesso, troppo spesso, è stata affidata a voci esterne. Altrettanto certo è che non sfugga ricorrenza per tanto commossa decantazione, anche in consessi che, sia pure in funzione consultiva, potrebbero esprimere capacità programmatica incisiva e sistemica, qualora fossero composti da membri dalle comprovate e certificate professionalità. Eppure tutto ciò non avviene e, nei corsi e ricorsi storici di vichiana memoria, si assiste alla puntuale ripresa del ciclo di vita di matusalemmi affezionati alla Calabria che inseguono il loro sogno di continuare a musealizzare quella che fu la loro amata terra, senza mai riuscire a realizzarlo e nell’ostentare il vecchio ed esausto bisogno di continuare, in modo insistente ed ostinato, nel loro fallimento generazionale, invocano la presenza dei giovani, non per senso di amorevole e compassionevole dignità verso ciò che non è mai stato e mai sarà, ma solo nel subdolo tentativo di risucchiare energie giovani e vitali nel vortice dei loro documentati insuccessi.

Come si può pensare, in un ventunesimo secolo che ha conosciuto la più triste e grave forma di globalizzazione nella tragedia della pandemia che ha colpito il mondo intero, di accomunare i Calabresi sparsi nel mondo con idee progettuali miseramente fallite da più generazioni? Si può veramente essere ingenui al punto tale da ritenere che la forza coesiva di almeno tre generazioni che vivono sparse sull’intero globo possa essere rinvenuta nella nostalgica idea di rivedere la casa diroccata e abbandonata in borghi altrettanto solitari e sperduti che furono dei propri avi? Magari al costo di una vacanza ai Caraibi piuttosto che alle Seychelles?

Sfugge, o forse non è facilmente comprensibile a chi ha più o meno volutamente calcificato una forma mentis, che le protagoniste vere e indiscusse, nei processi di valorizzazione identitaria, soprattutto se intergenerazionale, sono le comunità, le sole titolari del diritto-dovere di partecipare attivamente alla perpetuazione del proprio Patrimonio Culturale. La rappresentanza delle comunità stesse richiede un’imprescindibile senso di responsabilità verso tale considerazione così come richiede un’imprescindibile livello di consapevolezza del valore che assumono le infrastrutture sociali. Ragionare in termini di capitale sociale, quando le comunità sono ampie e disperse quali quelle dei Calabresi nel mondo, è compito arduo che richiederebbe, anche da parte di organismi consultivi appositamente predisposti, un grado di sensibilità e preparazione che non appartiene, certamente, ai più affezionati sognatori dei finanziamenti a pioggia. Cui prodest, dunque, che tali nostalgici continuino ad occupare lo stesso posto ormai da decenni?

Il punto di partenza, assiomatico, nel creare valore attorno ad una calabresità pensata e vissuta in una dimensione 4.0 non può che essere rinvenuto nelle riflessioni di tre autori, Andorlini, Basile e Marmo i quali, in merito al valore catturato specificano che esso si produce nell’incontro tra le persone, è caratterizzato da un alto tasso di casualità e un basso livello di intenzionalità e pertanto si concretizza esclusivamente laddove luoghi ed esperienze sono in grado di accoglierlo, valorizzarlo e dargli spazio. Il valore catturato, nella nostra visione, è quello che produce la differenza tra i territori e, se da un lato si crea proprio grazie alla densità relazionale, dall’altro è una delle dimensioni che alimenta e rafforza quest’ultima. Valore catturato e densità relazionale producono un loop positivo che rende i territori più generativi in termini di prospettive e di possibilità future.

Lavoreremo senza sosta, anche negli organismi consultivi dei Calabresi nel mondo, affinché questa rivoluzione culturale possa compiersi!


Giovani calabresi sfidano i tempi e salvano un’edicola

Cristina Caminiti

“Vogliamo essere un punto di riferimento per il quartiere”. Andrea e Ferdinando, giovani calabresi, sfidano i tempi e salvano un’edicola

Si vedono ad ogni angolo delle città, piccole costruzioni che nel silenzio delle mattine aprono le saracinesche e si riempiono di giornali e riviste. Qualcuno al loro interno è indaffarato a sistemare le ultime notizie all’ingresso e pian piano, non appena la città comincia a svegliarsi, studenti frettolosi comprano i  ticket della metro, qualcuno acquista un giornale o una rivista, o magari una ricarica e pagare una bolletta veloce evitando le lunghe fila alla posta. Ecco, questi chioschi, edicole se vogliamo, col passare del tempo si stanno arrendendo all’era del digitale, prima ai computer e adesso agli smartphone ad alta velocità che consentono di avere le ultime news in tempo reale. E mettiamoci anche l’epidemia mondiale. Bene, tutto ciò sta mettendo a dura prova luoghi come questi, ma c’è ancora chi crede fortemente che la carta stampata abbia ancora molto da rivelare.

Ferdinando Paternò, locrese, e Andrea Fascì, originario di Ardore, entrambi nella provincia di Reggio Calabria, hanno deciso di sfidare il tempo che stiamo vivendo salvando e rinnovando uno di questi spazi. La loro sfida si chiama DUK, acronimo di Different Urban Kiosk, la nuova edicola situata a Bologna in via Rimesse, ideata, racconta Andrea, 26 anni, per essere “un punto di riferimento per il quartiere”.

 

L’edicola DUK

 

La passata generazione quindi si unisce al rinnovamento e alla progettazione giovanile, l’unica che possa garantire la continuità di valori oggi riservati solo a una piccola cerchia di estimatori della lettura. DUK diventa così un orgoglio per i giovani, che unisce innovazione, impresa e consapevolezza di poter fare un qualcosa di diverso, che magari la Generazione Z non comprende, ma che può percepire come una novità, lontana dalla massa e con una forte identità.

“Il chiosco offre una serie di servizi” – spiega Ferdinando Paterdnò, 30 anni, laureato in legge – “che vanno dalla copisteria per lo studente universitario a tutte le operazioni che possono essere svolte in fila alla posta”, oltre a mettere a disposizione ticket sanitari per gli anziani evitando così lunghe ore in coda.

DUK è un esperimento non solo imprenditoriale, ma sociale che punta a svecchiare l’idea che la lettura su carta appartenga a un tempo ormai remoto e che invece rimane viva con tutto il suo fascino. I ragazzi hanno infatti ideato una serie di progetti da attuare, non appena il periodo lo consente, ritagliando, con il permesso comunale, uno spazio da sfruttare dove la gente possa sedersi e sorseggiare una bevanda mentre legge un buon libro, un giornale o una rivista, ma anche l’organizzazione di momenti per favorire il dibattito sociale tra i cittadini con presentazioni di libri ed eventi culturali.

Tra i tanti servizi che DUK offre, come spedizioni e giacenza pacchi, pagamento bollettini, PagoPA, Bollo auto, Visure Camerali, tasse scolastiche, prodotti di cancelleria e accessori di vario genere, Ferdinando e Andrea stanno anche studiando una formula di consegna a domicilio dei giornali e l’eventuale prestito di libri da lettura. DUK diventa anche una piccola biblioteca al passo coi tempi.

Insomma un bellissimo percorso che vede giovani calabresi non più spettatori, ma protagonisti con la voglia di mettersi in gioco nel grande scacchiere dell’imprenditoria.


IL CAPITALE SOCIALE DELLA CALABRIA: UN PATRIMONIO DA SCOPRIRE E VALORIZZARE

Maria Loscrì

Esiste una Calabria raccontata con il linguaggio del sublime sin dai tempi in cui i viaggiatori del Grand Tour vedevano in essa l’oggetto del proprio desiderio, variamente attratti ora dall’incantevole bellezza degli scenari, ora dagli spasmi di un territorio in continuo mutamento, ora dalle romantiche mulattiere, ora dalla presunta perfidia degli abitanti, ora dall’essere epicentro di una memoria cui attingere e ispirarsi.

Una terra disseminata qua e là di paesaggi scabri, quasi lunari, ricca di pascoli, rivi gorgoglianti e impetuosi, foreste secolari e frondose, sentieri serpeggianti per passare attraverso luoghi solitari e terre spopolate e incolte.

Vi è nei resoconti del Grand Tour quel tanto di creatività che appartiene a storici irregolari come Erodoto e Svetonio, che i viaggiatori finiscono inavvertitamente per imitare. Ma c’è anche qualcosa che affiora da un livello più profondo: un intenso amore per la grecità che trae linfa ora da un rudere, ora da un ritmo musicale, ora da una lingua perduta: paesaggi dell’anima dominati da un’unità intatta dove si annidano i fantasmi della memoria. E ciò ammaliava, seduceva, incoraggiando viaggi in una terra molto spesso ardua, aspra, con un quadro orografico estremamente composito che il dissesto geologico, il disordine idrico e una serie interminabile di movimenti tellurici avevano reso ancora più sublime.

Nell’immaginario del tempo la Calabria era una sorta di locus amoenus che risuonava ancora delle lingue perdute, abitato da popolazioni arcaiche, ricco di castelli e abbazie caratterizzati da un’architettura imponente ma impenetrabile allo stesso tempo. Un’alchimia straordinaria di una terra capace di conciliare nelle affinità gli opposti, nelle metamorfosi il principio.

 

Capocolonna (Crotone)

Ancora oggi la Calabria, per il viaggiatore che voglia conoscerla, scoprirla, apprezzarla, è la terra in cui il paesaggista troverà luoghi di bellezza sorprendente, l’antiquario le rovine che non sono ancora state studiate, il botanico scoprirà le piante e i fiori più rari d’Europa mentre il filosofo sarà colpito dalla grandezza dell’antica Grecia che ancora vive in pietre e memorie. Ma in questa linea serpentina del sublime in cui la dimensione del viaggio e della scoperta si ancorano in maniera indissolubile con quella della vita e della natura di questi posti, vi è un elemento rimasto sullo sfondo, quasi inesplorato, che racchiude in sé, con molta probabilità, le ragioni per cui il viaggiatore di oggi, così come quello di ieri, sfiora questa terra per andare via subito, la accarezza senza assaporarla pienamente, la vive di passaggio o, qualche volta, la evita: rimane sullo sfondo la gente di Calabria, i vicoli che risuonano di voci gioiose, le rughe che hanno visto generazioni incontrarsi nei mestieri della tradizione, i campi che conservano il sudore della fronte di chi, dall’alba al tramonto, scandiva i ritmi del faticoso calendario rurale, intonando canti e melodie, il dolore di chi ha dovuto abbandonare la casa natia per cercare il pane altrove, il coraggio delle donne, mogli, madri, figlie che hanno retto sulle proprie spalle il peso delle mille attese e delle altrettante illusioni, delle tante speranze e dei tanti disincanti.

Come ha ben riflettuto Augusto Placanica, “Un popolo non soggetto, ma oggetto di storia”, caratterizzato da identità mobili presenti in una terra complessa e ricca di contraddizioni in cui il problema certamente politico delle tante e varie identità presenti nella regione, reclama una risposta e una soluzione politica, in senso lato, come politica delle immagini, delle rappresentazioni, delle narrazioni.

L’acuta penna di Berto ha additato con stupefacente precisione i responsabili di tale situazione: “Sulla Calabria s’è abbattuta una distruzione più maligna di quella dei terremoti, e i principali responsabili sono le amministrazioni locali – quasi tutte avide e ottuse – e i vari governi e governanti, che hanno sempre affrontato e continuano ad affrontare il problema del Mezzogiorno con stupefacente rozzezza”.

 

Parco della lavanda (Morano Calabro, Cosenza)

Aggiungeremmo, con visioni miope ed eterodirette, nella maggior parte dei casi avulse dal flusso di relazioni che accompagnano e caratterizzano, per la loro stessa natura, le comunità in quanto tali le quali, nella Calabria degli ossimori, racchiudono e comprendono, con tutta probabilità, il senso e la direzione di un intervento di programmazione e progettazione territoriale che non può più prescindere dal capitale sociale che ne è parte integrante. La vera scommessa di riscatto di questa ricca ma sfortunata terra non può che venire dalla (ri)scoperta di una voce del suo Patrimonio finora rimasta fuori scena, e forse non a caso. Non è più pensabile che si continui nella decantazione delle meraviglie contraddittorie della Calabria, così come avvenuto ad opera dei viaggiatori del passato così come non è più pensabile che chi occupa le poltrone di comando pensi di poter risolvere le tante problematiche incombenti a suon di slogan e formule già ampiamente proposte e sperimentate. Il sublime della Calabria risiede, e va ricercato, proposto e valorizzato nella complessità e nella densità delle relazioni che caratterizzano le sue comunità che, a ragion veduta, devono diventare protagoniste di una programmazione partecipata nella costruzione dei processi di cambiamento in cui si sviluppano consapevolezza e strategie di azione partendo dalla interazione di diverse capacità, sensibilità, competenze.

 

Cattolica bizantina di Stilo (Reggio Calabria)

I diversi volti della Calabria devono potersi comporre in un quadro unitario in cui il denominatore comune sia rappresentato da “comunità competenti”, ovvero da persone via via comprese in gruppi sempre più organizzati che abbiano un repertorio di possibilità e di alternative, dunque abbiano un “potere” di pensare e di agire, sappiano dove e come ottenere risorse, chiedano di essere autonome in quanto caratterizzate da capacità di autodeterminazione e autostima. Il cambiamento può e deve originare dal gruppo sociale poiché le persone hanno in sé e nelle comunità cui appartengono le risorse per produrre cambiamento e, d’altro canto, perché i processi di cambiamento siano realmente democratici, necessitano, obbligatoriamente, di una concreta partecipazione dei cittadini nella definizione, nella produzione, nella comunicazione e nella valutazione dei cambiamenti che riguardano la comunità. Maggiore è il problema da affrontare, maggiore sarà la necessità di interazione tra i soggetti, così come maggiore sarà l’esigenza di intensificare la densità delle relazioni fra gli stessi. Ciò significa, in altri termini, lavorare sull’elemento più inesplorato del Patrimonio, calabrese in particolare, ovvero sul capitale sociale. In questa nuova dimensione esplorativa, il calabrese che vive in Calabria, ma anche chi ha lasciato la propria terra natia e volge lo sguardo nostalgico alla casa paterna, comprenderà che ragionare in termini di cambiamento reale, praticato e non solo ben predicato, significa puntare sull’intensità del grado di coesione sociale esistente nelle comunità di volta in volta considerate per riferirsi ai rapporti che si instaurano tra le persone stesse e che stabiliscono reti, norme e fiducia sociale, facilitando il coordinamento e la cooperazione nell’ottica di un vantaggio reciproco. La questione è particolarmente delicata allorquando si tratta di processi di partecipazione su iniziativa di un soggetto pubblico che chiama in causa anche i processi della rappresentanza nell’ambito delle politiche sociali. Ed il tema è particolarmente spinoso in regioni come la nostra in cui la progettazione calata dall’alto ha determinato non pochi squilibri, e a più livelli, soprattutto con l’incalzare di tempi che impongono di coniugare l’universalizzazione dei principi con la localizzazione delle prassi. Come può, una regione come la Calabria, governata a suon di slogan e formule dal comprovato insuccesso, comprendere che la vera e unica svolta è rappresentata da processi di progettazione partecipata? A fronte dell’interrogativo, potremmo prospettare un’auspicabile inversione metodologica nella programmazione delle politiche per le nostre comunità, ovvero:

  • Incoraggiare interpretazioni pluralistiche dei problemi sociali, facendo interagire e, possibilmente, integrando diversi tipi di conoscenza
  • Dando voce alle narrative minoritarie
  • Creando legami tra i gruppi, le persone, le organizzazioni che condividono uno stesso problema, di una determinata comunità
  • Identificando i punti di forza già esistenti in una data comunità

L’inversione di approccio metodologico e fattuale potrebbe certamente consentire, non solo al novello viaggiatore, ma al calabrese stesso, di cogliere un che di sublime in una terra che aspetta ancora oggi di narrarsi dopo essere stata a lungo narrata.


7 tesi da condividere

Renato Scordamaglia

Sono trascorsi più di 20 anni dalla nascita del sistema pubblico di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, a seguito dell’accordo tra il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, l’Associazione nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Venti anni di costruzione di una rete nazionale (ex Sprar/Siproimi, oggi S.A.I.) che nonostante le contraddizioni politiche, legislative e istituzionali, ha infrastrutturato il sistema del welfare nelle amministrazioni locali che hanno aderito volontariamente alla rete dei servizi di accoglienza e integrazione. Si sono sviluppate così, nei piccoli e grandi Comuni italiani, una pluralità di pratiche di tutela dei beneficiari, nuove comunità di lavoratrici e lavoratori costituite da centinaia di figure professionali (operatori legali, psicologi, educatori, mediatori, ecc.)  che con molta probabilità avrebbero abbandonato la regione dei numeri negativi (come dargli torto). Innanzitutto migliaia di donne, giovani, famiglie, minori hanno intravisto l’opportunità di ricostruire i propri percorsi di vita e di acquisire i diritti fondamentali che nei rispettivi paesi d’origine gli erano stati negati.

Ma non tutta l’accoglienza brilla di solidarietà e di qualità professionale se rapportata alla superiore finalità di tutela dei diritti delle persone che, è una pena ricordarlo, fuggono da ingiustizie, persecuzioni, fame, guerre, catastrofi climatiche. Il risultato di un’accoglienza “senza qualità” non è conseguente solo ad appetiti a volte affaristici, è piuttosto l’esito prevedibile di scelte politiche e istituzionali di natura emergenziale: si è prediletto il concentramento di grandi numeri di persone in strutture che non avevano alcun vincolo rispetto agli standard di servizio che nelle esperienze degli ex Sprar/Siproimi  avevano invece “evitato tensioni sociali, sprechi e facilitato i processi di inclusione sociale”.

Le politiche dell’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati sono notoriamente di competenza del Ministero dell’Interno, e così nella pianificazione del welfare sociale, di competenza regionale e comunale, prevale l’approccio securitario piuttosto che quello volto all’integrazione. Basterebbe rivolgere lo sguardo alle straordinarie iniziative di rigenerazione comunitaria che hanno caratterizzato le diverse e più disparate aree urbane e interne della Calabria. La materia dell’immigrazione non è un tema che riguarda gli “addetti ai lavori”, è una determinante dell’idea di comunità condivisa, del metodo con cui affrontare un fenomeno sociale che riguarda gli sconvolgimenti demografici, la cura delle persone, le filiere economiche, sociali e produttive, la riqualificazione delle aree a rischio di spopolamento.

A distanza di molti anni corriamo invece il serio rischio di un arretramento delle pur minime conquiste acquisite, a discapito di ogni forma di pregiudizio xenofobo.

Con la recente legge 173/2020 si rinomina il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI) in SAI – Sistema di accoglienza e integrazione, in attesa che un Decreto Ministeriale riformi i criteri organizzativi e gli standard di servizio delle strutture d’accoglienza.

E’ il momento per richiedere una riforma complessiva delle politiche per l’immigrazione!

Stiamo attraversando una fase storica che ci consente di analizzare i primi risultati di queste politiche, e così valutare quanto di buono o di opportunistico sia stato effettivamente realizzato, e quanto di strategico e innovativo possa ancora essere organizzato e strutturato, con innegabili benefici per tutto il paese.

E’ per questo motivo che ho raccolto le proposte elaborate da una rete diffusa di associazioni che si riconoscono sotto la sigla di “EUROPA ASILO”, proposte che ho inteso rilanciare in estrema sintesi in questa sede, non solo per dovere di informazione ma per  contribuire ad un’altra visione del mondo accogliente.

Le 7 tesi :

1) COSTRUIRE UN SISTEMA UNICO DI ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE:

E’ fondamentale: a) definire gli standard di accoglienza, perché siano uniformi su tutto il territorio nazionale; b) prevedere il coordinamento generale del sistema di accoglienza, perché siano evitate situazioni eccessivamente difformi nelle diverse aree geografiche.

2) GOVERNANCE MULTILIVELLO AL PARI DEGLI ALTRI SERVIZI PUBBLICI:

Ricondurre la gestione dei servizi di accoglienza all’ambito di applicazione della legge 328/2000, riconoscendo che il sistema ordinario di accoglienza deve essere parte integrante del welfare nei diversi livelli di governance: nazionale, regionale e locale, così superando l’impostazione data dal Dlgs 112/98, che radica la competenza nel solo Ministero dell’Interno.

3) RUOLO DEL TERZO SETTORE E AFFIDAMENTO

Si ritiene che vada superata la ambiguità rispetto al ruolo del terzo settore nell’organizzazione del sistema di accoglienza, e il connesso annoso problema della modalità di affidamento del servizio. Pertanto gli Enti Locali potrebbero ricorrere a strumenti e procedure più coerenti con la natura delle prestazioni da svolgere.

4) EQUIPE MULTIDISCIPLINARI TERRITORIALI COME RISORSA DEL TERRITORIO

L’accoglienza è una risorsa per lo sviluppo e la salute dei territori e della comunità. A tale fine è fondamentale valorizzare e consolidare pratiche di accoglienza che:

  • utilizzano una metodologia di rete connettendo attori pubblici, soggetti privati rappresentativi del mondo produttivo, privato sociale e singoli cittadini;
  • favoriscono un approccio alla multidisciplinarietà territoriale dell’intervento;
  • coniugano il bisogno di pianificazione sociale degli interventi con il lavoro di comunità quotidianamente svolto dall’operatore;

5) NUOVO SISTEMA DI VALUTAZIONE: SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA E IMPATTO SOCIALE

Anche sulla base di esperienze già realizzate è necessario che alla valutazione storica, incentrata sulla concordanza tra capitolati e servizi e tra finanziamento erogato e rendicontazione, venga aggiunta la valutazione del processo sociale sotteso all’accoglienza.

6) SUPERAMENTO DEL MODELLO CAS (Centri di accoglienza straordinaria): OBIETTIVO GENERALE E STRATEGIA DI BREVE E MEDIO PERIODO

Ampliare al massimo la capienza del SAI ma anche ripristinare standard adeguati di accoglienza e di servizi alla persona nei CAS che, nel periodo 2018-2020, hanno subito un generale processo di radicale contrazione degli standard minimi di accoglienza, compromettendone spesso la funzionalità e dando vita a situazioni di serio degrado.

7) ENTE NAZIONALE PER IL DIRITTO DI ASILO, REGISTRO DEGLI ENTI DI TUTELA

Occorre prevedere un Ente nazionale per il Diritto d’asilo a garanzia e tutela del sistema, la cui terzietà ed indipendenza è da ritenere fattore centrale nella governance del sistema, perché volto alla tutela di tutti gli attori (enti locali, enti di terzo settore, persone accolte) che vi prendono parte.


19 Aprile 2021 Spopolamento e abbandono scolastico: il caso della Calabria. Report

Fonte: Eurispes

Decremento demografico, innalzamento dell’età media e calo occupazionale sono le tre sfide più difficili che l’Italia si appresta a combattere nel post-pandemia. Tra i territori più penalizzati e che vivono in maniera più critica la combinazione tra questi fattori, la Calabria rappresenta un caso emblematico. Da anni si evidenzia un movimento costante di svuotamento dei piccoli comuni, specie quelli che si trovano all’interno della regione. L’approfondimento sul tema realizzato dalla sede regionale calabrese dell’Eurispes.

Leggi il report: edit_2021-eurispes_spopolamento_calabria


PlasticFree, ecco l’esercito dei volontari per ripulire la spiaggia

Fonte: LaCnews24

«Entro il 2050 il peso della plastica negli oceani sarà superiore a quello dei pesci», ha spiegato Davide Arillotta, referente reggino dell’associazione che ha celebrato anche nella città calabrese dello Stretto la giornata nazionale

La sensibilizzazione circa la necessità ormai indifferibile di ridurre la plastica che resta inutilizzata e che viene gettata, degradando i luoghi. Questa la mission dell’associazione PlasticFree che oggi celebra la sua giornata nazionale anche a Reggio Calabria, tra le 160 località coinvolte in tutta Italia. «Entro il 2050, secondo studi di settore, il peso della plastica negli oceani sarà superiore a quello dei pesci».

Lanciando questo allarme, Davide Arillotta, referente reggino dell’associazione, ha sottolineato la necessità di sollecitare l’opinione pubblica sul tema. Dopo il parco lineare Sud, la foce del Calopinace e la zona di Gallico, la pulizia odierna è avvenuta sulla spiaggia, che rievoca ricordi per nulla all’altezza dell’attuale stato di incuria, del Lido Comunale di Reggio Calabria.

Quantità importanti di plastica e multimateriale, molto vetro e rifiuti ingombranti di ogni genere, come sdraio e persino pneumatici, hanno riempito i camion Avr e decine di sacchi. «Accanto ad ogni albero c’è una montagna di spazzatura, vestiti, scarpe, sigarette e rifiuti di ogni genere. È quello che resta dopo mesi, anni di mancata attenzione. Non capiamo come sia possibile che nessuno abbia fatto nulla fino ad oggi», ha evidenziato il giovane Mariano De Franco.

Altre tappe targate PlasticFree sulla via Marina Bassa e a Pellaro sono già in programma, sempre in collaborazione con l’associazione reggina Differenziamoci differenziando e di concerto con Comune reggino e Avr che fornisce sacchi, rastrelli e dispositivi di protezione individuale. «Stiamo lavorando per definire il programma fino a luglio ma l’intento è quello di non fermarsi. C’è tanto da fare e, fossimo anche una sola goccia, noi vorremmo esserci in questo oceano. Vogliamo dare il nostro contributo di amore e impegno per la nostra città e per l’ambiente», ha spiegato Davide Arillotta, referente per Reggio Calabria di PlasticFree.

Si percepisce e si tocca con mano la motivazione che ha spinto in questadomenica mattina oltre un centinaio di persone, soprattutto giovani, ad esserci.
«Ho sentito l’urgenza di seguire questo movimento bellissimo e di essere qui oggi perché sono preoccupata. Stiamo arrivando ad un punto critico in cui l’ambiente e noi che lo viviamo siamo troppo a rischio», ha sottolineato la giovane Sara Speranza.
«È un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica e per fare comunità su un tema importante. Abbiamo molto bisogno di momenti come questo», ha dichiarato Simone Gatto, in spiaggia con guanti e rastrello insieme alla sorella Serena.
«Siamo qui perché ci teniamo, perché amiamo questo posto, le nostre spiagge e il nostro mare. Sappiamo che questo è un piccolo passo ma vogliamo compierlo e proseguire. Non ci fermeremo», ha concluso la giovane Serena Gatto.


Crotone, torna Bibliobus: biblioteca itinerante che consegna i libri a domicilio

Fonte: LaCnews24

Il progetto, promosso dal Comune e gestito dalla Fondazione D’Ettoris, prevede il servizio su strada in diversi quartieri, ma in tempo di Covid anche animazione culturale online

Un furgone bianco, facilmente riconoscibile, carico di libri raggiungerà ogni angolo della città. Con Bibliobus, è la biblioteca che va dai cittadini, invitandoli a immergersi nel favoloso mondo della lettura. Il progetto, riproposto dal Comune di Crotone e affidato alla Fondazione D’Ettoris, prevede prestito e consegna a domicilio, servizio su strada in diversi quartieri, ma in tempo di Covid anche animazione culturale online.

Bibliobus non è solo una biblioteca itinerante su ruote, capace di portare la cultura nelle case dei cittadini, con i servizi tipici della biblioteca civica “A. Lucifero”, ma anche informazione ed approfondimento, promozione della lettura e conoscenza.

I servizi previsti

Per accedere al servizio di prestito con consegna a domicilio, basta contattare il personale dedicato (sul portale della biblioteca comunale e sulle pagine social i riferimenti) dal lunedì al sabato, dalle 15:00 alle 18:00. Tutti i pomeriggi dalle 16:30 alle 19:30, tranne la domenica, il Bibliobus sosterà poi su strada, in varie zone della città, con il suo carico di oltre 100 libri: si potranno prendere in prestito un massimo di 3 titoli per 30 giorni.

I servizi sono ovviamente gratuiti, ma per accedervi bisogna attivare una tessera di iscrizione che avrà un anno di validità e che sarà possibile utilizzare presso la biblioteca Comunale di Crotone anche al termine del servizio.

«L’iniziativa – ricorda l’assessore comunale alla Cultura, Rachele Via – è inquadrata nel progetto Biblioteca casa di quartiere che ha come scopo il potenziamento della biblioteca comunale, non solo come luogo austero di custode della cultura, ma come luogo vitale».

Gli altri progetti

Nell’ambito di Bibliobus, la Fondazione D’Ettoris promuove anche altre iniziative che, alla luce della pandemia in corso, si svolgeranno on line, sul portale dell’iniziativa e sui canali social. La prima di queste attività è Biblioteche riunite che ha come obiettivo non solo «invogliare alla lettura ma – spiega Maria Grazia D’Ettoris, responsabile della biblioteca Pier Giorgio Frassati della Fondazione D’Ettoris – anche incuriosire verso il mondo delle biblioteche cittadine» delle quali, attraverso dei video, saranno raccontati patrimonio, storia, attività svolte.

Spazio anche ai più piccoli con Fiabe e burattini per stupire i bambini, che sarà realizzata da Angelo Gallo e, infine, una iniziativa con le case editrici italiane dal titolo Come un libro aperto, autori e curatori si raccontano.


Archeologia, scoperto insediamento di epoca greca nel Crotonese: recuperati reperti

Fonte: LaCnews24

Il rinvenimento è avvenuto a Belvedere Spinello grazie a carabinieri e personale della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Catanzaro e Crotone

Un antico insediamento di epoca greca risalente circa al VI secolo a.C. è stato scoperto a Belvedere Spinello, nel Crotonese, dai carabinieri della locale stazione e personale della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Catanzaro e Crotone.

Il sopralluogo eseguito in località Crichimi – zona già interessata da scavi archeologici clandestini – ha consentito di recuperare numerosi reperti archeologici dello stesso periodo, tra i quali una importante porzione di colonna scanalata (rocchio) della lunghezza di un metro circa.

Il prezioso materiale recuperato è stato trasportato presso la Soprintendenza dei Beni Archeologici di Crotone.


San Luca: un video promozionale racconterà persone e luoghi del paesino aspromontano

Fonte: LaCnews24

A realizzarlo sarà il giovane regista Pasquale Giordano, noto per i temi sociali trattati nei suoi cortometraggi

Un video promozionale artistico e culturale racconterà San Luca. Questa volta non stragi, faide, mafia e cronaca nera, ma la bellezza, le unicità e i volti di un Paese in sé e per sé, foriero di molteplici eccellenze, come lo scrittore internazionale Corrado Alvaro. Nel video, oltre il noto scrittore nei cui confronti è dedicata una Fondazione culturale (“istituzionalizzata” con una legge della Regione Calabria degli anni ’90) che ha la sua sede proprio nella casa che fu di Alvaro, un pensiero verrà rivolto anche al vicesindaco del Paese, scomparso pochi giorni fa, Francesco Micchia. Tra le eccellenze verrà dato lustro anche allo stilista sanluchese che vestì il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, Francesco Giorgi.

A mostrare visi e bellezze d’Aspromonte, unitamente alle maestranze antiche e “moderne”, sarà il giovanissimo regista sanluchese Pasquale Giordano, da qualche anno “trapiantato” nel crotonese, a Mesoraca, dove ha fondato una associazione “Mesoraca Film” di cui è Presidente e ha l’obiettivo di dare vibisibilità e creare opportunità ai giovani e a tutte le persone che vogliono farsi notare artisticamente. L’associazione organizza anche un premio annuale dato alle persone che danno lustro ai territori e che, per usare le parole di Giordano: «non si arrendono mai».

A collaborare con lui in questa impresa artistica su San Luca sarà Francesco Pelle, sanluchese trapiantato al nord, fondatore della pagina e del gruppo social “San Luca Illustrato”, che contano numerosi followers da tutta italia e hanno l’obiettivo di recuperare, si legge in un post, «le vecchie foto contenute nelle valigie, prima che vadano perse».

Giordano, il regista “social”

Classe 1989, diplomato all’Accademia nazionale del cinema di Bologna, attivissimo sui social e legato alla “sua” San Luca, nonostante i kilometri di distanza, Pasquale Giordano è stato regista e protagonista di altri cortometraggi molto noti in Calabria per i temi sociali trattati. “Un mondo migliore” racconta il valore dell’amicizia vera, mentre “Il sogno di Piero”, prodotto con la Onlus “Il Futuro” e presentato in Rai, parla di un ragazzo cieco che tra mille difficoltà arriva a realizzare il suo sogno di diventare carabiniere.

Da ultimo, il cortometraggio “Figli da gente” girato a Cirò Marina con la partecipazione straordinaria dell’attore Salvatore Patè (che affiancò Robert De Niro e Dustin Hoffman in “Il Padrino”), racconta una guerra tra cosche e le conseguenze negative di chi intraprende una determinata strada.

E se molte sono le collaborazioni che continua ad instaurare in tutta Italia, con una carriera in ascesa, lo sguardo verso le sue origini che verrà trasmigrato nel video promozionale annunciato su San Luca si prospetta interessante e molto atteso.