Maria Loscrì

È una terra inquieta, quella di Calabria, in cui da secoli, ormai, si compie una rivoluzione lenta ma inesorabile, silenziosa, messa in atto, spesso in modo del tutto inconsapevole, da chi è costretto ad emigrare. Dall’Unità di Italia ad oggi, l’Italia è stato un paese profondamente segnato dall’emigrazione e la Calabria è stata ancor più intensamente incisa dalla partenza di giovani e meno giovani che hanno lasciato la terra natia per non farvi più ritorno, se non in veste di vacanzieri, più o meno occasionali. Ad una prima e intensa ondata migratoria post unitaria, caratterizzata, prevalentemente, da spostamenti oltreoceano, è succeduta una seconda fase, a partire dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso, con prevalenza dei flussi in direzione dell’Europa. L’emigrato dei nostri giorni, invece, ha caratteristiche totalmente diverse rispetto al passato: il livello di istruzione è sempre più elevato, emergono nuove figure quali quelle dei nonni-genitori che trascorrono periodi sempre più lunghi all’estero, con figli e nipoti ed anche quelle dei migranti previdenziali, ovvero pensionati che si spostano a vivere in paesi in cui è in corso una politica di defiscalizzazione.

Per contro, vengono sempre più alla ribalta movimenti di idee e di pensiero che, appellandosi alle moderne proposte di turismo delle radici e turismo della memoria, trovano sempre più compiuta organizzazione in proposte formative accademiche, in modelli socio-culturali ed economici sostenuti a livello istituzionale e, più raramente, in slogan di appassionati cultori degli esigui fondi regionali che potrebbero essere destinati alla promozione dei viaggi della ri-scoperta delle identità perdute.

Sia i luoghi dell’esodo che quelli della partenza sono da sempre profondamente ridisegnati dal fenomeno migratorio: da una parte vi sono storie di dolore, di dispersione, di abbandono, di erosione di un sistema antico che viene lasciato alle spalle, dall’altro vi è un mondo nuovo che ha attirato a sé l’alterità, che ha ingenerato speranze e aspettative, che ha spinto al mutamento e alla ricerca del nuovo.

È un intero tessuto culturale, sociale, economico e anche politico che viene in considerazione quando si parla dei fenomeni migratori, vecchi e nuovi, e per la Calabria il peso è ancora più gravoso rispetto che altrove. Una terra di grandi contraddizioni, di contrasti geografici, climatici, storici, antropologici, quale è la nostra, esprime anche in ordine all’emigrazione e alle dinamiche che caratterizzano il fenomeno, zone chiaroscurali, pressappochismo e vecchie logiche di sistemi che stentano a tramontare, pur inneggiando all’esigenza del nuovo.

È fuor di dubbio che i figli di Calabria abbiano espresso talenti e virtù nei luoghi che li hanno accolti, così come è fuor di dubbio che la nostra regione possa vantare bellezze paesaggistiche, ricchezze enogastronomiche, peculiarità del Patrimonio Culturale la cui narrazione molto spesso, troppo spesso, è stata affidata a voci esterne. Altrettanto certo è che non sfugga ricorrenza per tanto commossa decantazione, anche in consessi che, sia pure in funzione consultiva, potrebbero esprimere capacità programmatica incisiva e sistemica, qualora fossero composti da membri dalle comprovate e certificate professionalità. Eppure tutto ciò non avviene e, nei corsi e ricorsi storici di vichiana memoria, si assiste alla puntuale ripresa del ciclo di vita di matusalemmi affezionati alla Calabria che inseguono il loro sogno di continuare a musealizzare quella che fu la loro amata terra, senza mai riuscire a realizzarlo e nell’ostentare il vecchio ed esausto bisogno di continuare, in modo insistente ed ostinato, nel loro fallimento generazionale, invocano la presenza dei giovani, non per senso di amorevole e compassionevole dignità verso ciò che non è mai stato e mai sarà, ma solo nel subdolo tentativo di risucchiare energie giovani e vitali nel vortice dei loro documentati insuccessi.

Come si può pensare, in un ventunesimo secolo che ha conosciuto la più triste e grave forma di globalizzazione nella tragedia della pandemia che ha colpito il mondo intero, di accomunare i Calabresi sparsi nel mondo con idee progettuali miseramente fallite da più generazioni? Si può veramente essere ingenui al punto tale da ritenere che la forza coesiva di almeno tre generazioni che vivono sparse sull’intero globo possa essere rinvenuta nella nostalgica idea di rivedere la casa diroccata e abbandonata in borghi altrettanto solitari e sperduti che furono dei propri avi? Magari al costo di una vacanza ai Caraibi piuttosto che alle Seychelles?

Sfugge, o forse non è facilmente comprensibile a chi ha più o meno volutamente calcificato una forma mentis, che le protagoniste vere e indiscusse, nei processi di valorizzazione identitaria, soprattutto se intergenerazionale, sono le comunità, le sole titolari del diritto-dovere di partecipare attivamente alla perpetuazione del proprio Patrimonio Culturale. La rappresentanza delle comunità stesse richiede un’imprescindibile senso di responsabilità verso tale considerazione così come richiede un’imprescindibile livello di consapevolezza del valore che assumono le infrastrutture sociali. Ragionare in termini di capitale sociale, quando le comunità sono ampie e disperse quali quelle dei Calabresi nel mondo, è compito arduo che richiederebbe, anche da parte di organismi consultivi appositamente predisposti, un grado di sensibilità e preparazione che non appartiene, certamente, ai più affezionati sognatori dei finanziamenti a pioggia. Cui prodest, dunque, che tali nostalgici continuino ad occupare lo stesso posto ormai da decenni?

Il punto di partenza, assiomatico, nel creare valore attorno ad una calabresità pensata e vissuta in una dimensione 4.0 non può che essere rinvenuto nelle riflessioni di tre autori, Andorlini, Basile e Marmo i quali, in merito al valore catturato specificano che esso si produce nell’incontro tra le persone, è caratterizzato da un alto tasso di casualità e un basso livello di intenzionalità e pertanto si concretizza esclusivamente laddove luoghi ed esperienze sono in grado di accoglierlo, valorizzarlo e dargli spazio. Il valore catturato, nella nostra visione, è quello che produce la differenza tra i territori e, se da un lato si crea proprio grazie alla densità relazionale, dall’altro è una delle dimensioni che alimenta e rafforza quest’ultima. Valore catturato e densità relazionale producono un loop positivo che rende i territori più generativi in termini di prospettive e di possibilità future.

Lavoreremo senza sosta, anche negli organismi consultivi dei Calabresi nel mondo, affinché questa rivoluzione culturale possa compiersi!