Archives: Aprile 10, 2021

Il museo di Reggio racconta una Calabria antica e nuova

Fonte: L’Eurispes.it

Maurizio Lovecchio

Turismo e cultura sono un binomio fondamentale: ne è convinto Carmelo Malacrino, Direttore del Museo Nazionale di Archeologia di Reggio Calabria. Nell’intervista rilasciata al nostro magazine, racconta quanto il polo museale che accoglie i Bronzi di Riace, uno dei simboli per eccellenza dell’arte antica, sia diventata una occasione di rilancio e vetrina ideale per mostrare a visitatori da tutto il mondo la ricchezza storica e territoriale dell’intera Calabria.

Direttore, nel 2019, l’anno precedente al blocco imposto dalla pandemia da Covid-19, il Museo Nazionale di Reggio Calabria ha registrato 227mila visitatori, ponendosi con un risultato straordinario anche in controtendenza rispetto al calo che hanno invece registrato altri musei anche più importanti. Oltre alla capacità attrattiva che presentano i Bronzi di Riace, che cos’altro ha funzionato ed è alla base di questo successo?

Diciamo che è stato il raggiungimento di un obiettivo che abbiamo costruito negli anni precedenti. Il museo ha riaperto al pubblico il 30 aprile del 2016 e da allora abbiamo lavorato in efficienza, accoglienza e puntando sulla sicurezza e sulla comunicazione, cercando di far capire al pubblico che il museo è Bronzi di Riace, ma anche tanto altro come le grandi collezioni straordinarie della Calabria antica. Poi è stata un’altra tappa del percorso di profondo legame con la comunità del territorio che trovava proprio nel museo il luogo della cultura della città. Quindi anche grazie alla programmazione estiva, penso ai tanti eventi organizzati con i partners istituzionali – il Parco Nazionale dell’Aspromonte, il Conservatorio Cilea, il Planetario Pitagora – e ai tanti amici che hanno voluto collaborare per fare del museo un luogo inclusivo, dinamico, aperto a tutti. Questo lo abbiamo fatto, come dicevo, anche sulla terrazza, in un luogo fortemente suggestivo affacciato sullo Stretto, e di sera un posto veramente splendido.

Abbiamo già citato i Bronzi di Riace come fenomeno di attrazione principale del Museo Nazionale di Reggio Calabria. Spesso le due statue sono state al centro di polemiche, dibattiti, soluzioni fantasiose, proposte discutibili. Qual è il suo rapporto personale con queste due “ingombranti” presenze e quali altre collezioni ci sono e sono degne di altrettanta attenzione?

Non le definirei “ingombranti” ma magnifiche, straordinarie, fanno del museo di Reggio un grande attrattore non soltanto della Calabria ma di tutta l’Italia. Registriamo turisti che raggiungono appositamente questa città da qualsiasi parte del mondo (Australia, America Latina, Stati Uniti, Estremo Oriente), quindi i Bronzi sono capaci di attrarre amanti dell’arte greca da ogni luogo. In realtà non mettono in ombra il resto delle collezioni ma le valorizzano, nel senso che moltissimi turisti arrivano al museo di Reggio immaginandolo come casa dei Bronzi e in realtà trovano il grande museo della Calabria antica. Un museo allestito per raccontare la straordinaria storia della Calabria antica – dalla Preistoria fino alla tarda età Romana – su quattro livelli con una selezione di reperti fra i più importanti tesori dell’archeologia calabrese. È difficile dire quale pezzo sia più importante di un altro, perché poi ciascun reperto esposto è il protagonista di una storia diversa, di un piccolo capitolo di questo libro che è la storia della Calabria antica (penso alla testa dell’acrolito di Apollo proveniente da Cirò, ma anche la testa di Porticello, la testa del Filosofo, opere note in tutto il mondo e presenti nei principali volumi di storia dell’arte greca).

Alcuni suoi colleghi, direttori di importanti musei italiani, hanno pubblicato una lettera su Artribune rendendo nota un’idea, un’ipotesi di rilancio dei musei nel periodo post-Covid, suggerendo, di fatto, la trasformazione, o l’esigenza di trasformare i musei in luoghi prettamente di memoria e di conservazione della cultura in luoghi di ricerca, e quindi aperti anche a percorsi formativi che guardano al futuro. Lei è d’accordo con questa idea?

Non solo sono d’accordo, ma è quanto noi stiamo facendo da qualche anno qui al Museo. Questo non è soltanto un contenitore di oggetti, ma è un luogo nel quale raccontare le storie che vengono testimoniate da questi oggetti. È un luogo nel quale assicurare la conservazione delle collezioni per poterle poi consegnare alle future generazioni, quindi un posto nel quale si fa restauro, si fa ricerca sulla conservazione e sui reperti, sia su quelli esposti, sia sulle tante collezioni che sono conservate nei depositi e che rappresentano il grande potenziale di ciascun museo. Queste storie le raccontiamo all’interno di tante esposizioni, penso alle numerose mostre che abbiamo allestito proprio per arricchire l’offerta espositiva del museo. Qui, per esempio, ho uno degli ultimi cataloghi realizzato, dedicato alla mostra su Paolo Orsi,, all’origine dell’archeologia fra Calabria e Sicilia che segna anche una straordinaria sinergia con la Sicilia e con il Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi di Siracusa nell’intenzione di voler mettere insieme le collezioni calabresi e siciliane per raccontare la storia di questo eccezionale archeologo della fine dell’Ottocento e degli inizi del Novecento. Un’attenzione alla narrazione delle collezioni che riguarda tutti, a partire dai bambini, soggetti ai quali affidiamo grande attenzione. Qui ho, ad esempio, l’offerta formativa didattica che abbiamo proposto per i laboratori dedicati ai più piccoli. Una serie di laboratori differenziati per età e dal punto di vista tematico. Poi, ovviamente, i rapporti con le Università, i luoghi preposti alla ricerca e tante sono le collaborazioni che stiamo portando avanti per poter permettere alle Università di studiare le nostre collezioni, farcele conoscere meglio in modo tale che noi stessi possiamo valorizzarle nella maniera più efficace.

Questa estate, analizzando i flussi turistici in Calabria, la nostra sede regionale dell’Istituto Eurispes ha raccolto dati positivi, che hanno premiato la Calabria quale meta preferita da molti vacanzieri. Tra gli attrattori turistici che abbiamo analizzato e registrato in questa nostra ricerca c’è il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Secondo Lei, la presenza sul territorio di un museo importante, quanto influisce sulle scelte e quindi sulle preferenze turistiche e quale connessione vede proprio tra turismo e cultura in particolare per lo sviluppo della Calabria?

La presenza di un luogo della cultura così importante come il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria è fondamentale per il turismo di questo territorio. Dobbiamo sempre ricordare che questo museo non è il museo di Reggio Calabria, ma è il museo dell’intera Regione, quindi raccoglie e mette insieme reperti provenienti da ogni parte della Regione proprio per raccontare in una narrazione continua quella che è stata la storia della Calabria nell’antichità. Quindi è un polo di attrazione culturale non soltanto per Reggio ma per tutta la Regione. Al tempo stesso diventa l’inizio di un percorso di scoperta per gli altri luoghi della Regione, perché i tanti turisti che raggiungono Reggio Calabria e che raggiungono il nostro museo attratti dai Bronzi di Riace scoprono le vetrine dedicate a Locri, le vetrine dedicate a Vibo, a Rosarno, a Sibari, e quindi nasce dentro di loro anche la curiosità di intraprendere un percorso alla scoperta di questi luoghi straordinari. Turismo e cultura sono un binomio fondamentale. Quanto abbiamo registrato circa l’impatto della riapertura del museo il 30 aprile del 2016 sul tessuto economico della città ci fa capire che il museo è un forte attrattore, ha un impatto sui ristoranti, sui bar, sugli alberghi, che è stato notevole e questo ci è stato comunicato sia da Federalberghi che dalla Camera di Commercio con cui collaboriamo attivamente proprio per creare un’offerta turistica a 360 gradi e partecipare e anche supportare il tessuto economico e culturale del territorio. All’interno di un progetto di collaborazione che coinvolge non soltanto l’aspetto strettamente culturale, quindi i rapporti con gli altri musei, penso alla Pinacoteca Civica, al Piccolo Museo San Paolo, al Castello Aragonese, ma abbiamo lavorato molto anche sul connubio cultura-natura, quindi stringendo un profondo legame con il Parco Nazionale dell’Aspromonte, proprio per far sì che anche i visitatori del museo potessero proseguire o iniziare un viaggio alla scoperta dello straordinario paesaggio dell’Aspromonte. Tirando le somme dei percorsi di questi anni direi che l’impatto del museo sul turismo del territorio è stato notevole ma non può essere che un invito a lavorare ancora di più, sempre meglio e tutti insieme, per far sì che l’immagine che a volte caratterizza la Calabria possa essere rinnovata, possa essere affiancata da un’immagine positiva, basata su patrimonio culturale ricchissimo, l’immagine di un territorio che ha accolto e continua ad accogliere culture da ogni parte del Mediterraneo e possa essere anche l’immagine di un territorio proiettato verso il futuro.

 


Una passeggiata tra le rovine di Scolacium in un verde lussureggiante

Bakhita Ranieri

Sembra un sogno ma a pochi km da noi si trova un parco archeologico in località Roccelletta di Borgia, vicino la S.S. 106 che collega Crotone a Reggio Calabria. Circondato da un folto uliveto si estende per 35 ettari di terreno. Al suo interno si trovano la Basilica di Santa Maria della Roccella, il Foro romano che abbraccia molti secoli dal III a.C. al VI d.C. in cui sono collocati gli edifici principali della colonia romana, il teatro, datato al I sec. d.C. in cui si svolgevano le rappresentazioni teatrali, rimasto incompleto, l’anfiteatro romano datato al II sec. d.C., messo in luce durante uno scavo di pochi anni fa e la necropoli bizantina.

Da lì sarà piacevole, tempo permettendo, osservare l’intera costa che abbraccia Catanzaro Lido fino a Soverato. Il parco ospita anche due musei, quello del frantoio, in cui sono istallate le macchine che servivano per produrre l’olio, in uso fino agli anni cinquanta e quello archeologico che si sviluppa su due piani composto da 11 sale con i reperti rinvenuti durante le campagne di scavo dal 1975 fino a qualche anno fa.

Immergiamoci quindi in questa passeggiata virtuale con il tepore che ci regala la primavera.

Roccelletta di Borgia prende il nome dalla Chiesa di Santa Maria della Roccella, che domina il territorio con la sua mole di mattoni rossi in prossimità del mare, non lontano dal fiume Corace. Di epoca bizantino-normanna è costituita da un’ampia navata con un tetto a cassettoni in legno collegato da alcuni gradini al braccio sopraelevato coperto con volte in muratura.

Il vasto presbiterio termina con una profonda abside affiancata da due absidiole più piccole che concludono ambienti a pianta quadrata. Nell’abside centrale si aprono tre nicchie, sormontate da un’ampia finestra, finestre si aprono anche nelle due absidi laterali. Anche la navata è illuminata da una serie di finestre intervallate da archi ciechi con un motivo decorativo a doppia fascia di laterizi.  L’edificio venne in seguito trasformato in fortezza, sono stati rinvenuti infatti proiettili di pietra per catapulta. Nella seconda metà dell’800 fu impiegata come ricovero di animali e come cava di materiali da costruzione.

Continuiamo la nostra piacevole passeggiata e arriviamo al Foro, che costituisce la principale piazza di ogni città romana. È collocata all’incrocio tra due assi viari principali, il cardo maximus e il decumanus maximus formando uno spazio pubblico di forma rettangolare. Qui si affacciano i più importanti edifici a carattere religioso (il Capitolium) e amministrativo (Curia, Tabularium, Tribunal). Altri edifici pubblici sono il Macellum per attività commerciali e il Comitium di riunione per i cittadini. La piazza nel corso dei secoli, dopo il terremoto del IV sec. d.C. perse la funzione di centro della città e divenne un’area per insediamenti artigianali com’è dimostrato dal ritrovamento di una grande fornace per materiali ceramici e cava di materiali edilizi.

E adesso tutti in fila per il teatro. Le ricerche che misero in luce l’edificio furono svolte tra il 1965 e il 1975. Si data al I d.C. È realizzato imbrigliando la collina con muri concentrici in opus reticulatum. Costituito da un’orchestra semicircolare e da una cavea divisa in tre settori (maeniana): quello inferiore (imma cavea) diviso in 5 cunei da sei scalette accessibili attraverso un corridoio (praecinctio) che facilitava il passaggio degli spettatori; media cavea e quello superiore (summa cavea) diviso in 4 cunei da 5 scalaria. Ai lati estremi dell’imma cavea erano due accessi (aditi maximi) che consentivano l’ingresso alla cavea e all’orchestra. La scena veniva organizzata con la costruzione del muro del palco (pulpitum), del sipario (auleum) e dello sfondo fisso (scaena frons). Poiché gli spettacoli si svolgevano di giorno, era necessario per i romani proteggere gli spettatori dalla luce attraverso il velarium, una copertura mobile in tessuto fissata con travi e ancorata ai muri per mezzo di anelli.

Ed ora su per la collina, andiamo all’anfiteatro ad assistere a qualche combattimento sanguinoso. Qui si svolgevano anche le venationes e le naumachie. Era compito dei magistrati appena eletti, per fare carriera, offrire i ludi gladiatori alla città. Destinare i condannati, per reati comuni o politici ad bestias, era un modo per spettacolizzarne l’esecuzione ed imprimerla nella memoria degli spettatori. I gladiatori che combattevano erano prigionieri di guerra o schiavi addestrati in scuole apposite gestite dai lanistae che li preparavano ai diversi tipi di combattimento. Erano praticati combattimenti crudeli in cui uno dei due duellanti era disarmato. L’imperatore, interpretando l’umore del pubblico, poteva graziare lo sconfitto levando il pollice verso l’alto, non è un caso che nel nostro linguaggio comune il nostro l’ok corrisponda allo stesso simbolo, il gesto contrario significava la morte. La sera prima dello spettacolo, i gladiatori partecipavano ad un banchetto a cui assisteva un pubblico di affezionati. Una forma particolarmente crudele di spettacolo era quella in cui i condannati a morte erano impiegati per rappresentare episodi cruenti dei miti. Il nostro anfiteatro, si data al II sec. d.C. di dimensioni considerevoli, è l’unico finora attestato in Calabria ed uno dei pochi dell’Italia meridionale situato in una piccola valle. La parte occidentale dell’edificio sfrutta il pendio della collina, la parte orientale fu costruita in elevato con laterizi e più ordini di arcate sovrapposte inquadrate da lesene.

Le campagne di scavo sono state effettuate nel 2010-2011 l’impianto presenta muraglioni radiali in opus incertum cinte di mattoni basate su uno schema ellittico. Fu realizzato con strutture che creano vani trapezoidali privi di finestre ed in parte costruendo cassoni sotterranei su cui si impiantavano le gradinate della cavea. Sul settore orientale si trova una struttura cava, la parte più bassa fungeva da entrata (vomitorio). Ai lati erano posti due vomitori minori che permettevano agli spettatori di raggiungere i settori superiori della cavea. Della facciata esterna si conservano parti in opus incertum e opus testaceum. Tra fine III e IV secolo un settore abbandonato dell’edificio fu occupato da una sontuosa dimora posta su varie terrazze su cui si sovrappose tra V e VI secolo un’altra costruzione con poderose fondazioni che sfruttano in parte i resti dell’anfiteatro.

E la nostra ultima tappa esterna ci porta alla necropoli, la città dei morti. Per non invadere lo spazio sacro della città (pomerium), era collocato all’esterno. Si data tra il VI- VII sec. d.C. Presenta due fasi principali di utilizzo: la prima è caratterizzata da tombe a cassa rettangolare, orientate in direzione del mare, con sepolture dotate di corredo. Il defunto era appoggiato con il capo su una tegola rovesciata, le coperture erano in tegole o in grandi laterizi. La seconda fase è caratterizzata da tombe in nuda terra molto semplici prive di corredo. Le deposizioni potevano essere plurime ed i corredi costituiti da manufatti in metallo, vetro e ceramica. Tra le brocchette, che costituiscono il corredo più diffuso in questo periodo, è stato rinvenuto un prodotto tipicamente scolacense. Si tratta di una specie di bottiglia a due anse sia acroma che sovra dipinta in argilla rossa.

Siamo pronti per entrare nel Museo del Frantoio. La famiglia Mazza era proprietaria di numerosi latifondi sparsi nel comprensorio borgese in cui predominavano le colture del grano e dell’olivo.

La costruzione del trappito avvenne intorno al 1934, aveva un pavimento in materiale impermeabile e facilmente lavabile ottenuto con una gettata di cemento povero. Per la macinazione delle olive furono utilizzati i locali del pian terreno della casa padronale. Qui furono installate tre macine con ruote di granito per triturare le olive senza innalzare la temperatura della pasta e otto pressette a tre colonne. Sul lato lungo troviamo invece le pressette da 8 e l’impianto della pompa idraulica ubicata vicino l’ingresso. La conservazione dell’olio avviene nelle classiche giare di terracotta. La mole e le pressette venivano azionate dal motore detto “a testa calda” per il suo particolare sistema di accensione nel motore.

La nostra ultima tappa ci porta a visitare il Museo Archeologico inaugurato nel 2005. La storia di questo parco è scritta su due targhe poste sui cancelli di ingresso lungo la superstrada 106 Jonica. Le sale, disposte su due piani, si susseguono dalla prima, l’età preistorica e protostorica, includono l’età greca dell’antica colonia di Skylletion per passare all’età romana con testimonianze numismatiche, manufatti, marmi raffinati e togati che catturano i visitatori di tutto il mondo, per finire all’undicesima sala che racchiude la testimonianza del passaggio dell’età bizantina.

Ma non è finita qui. Mentre si passeggia alla scoperta di questi ruderi immersi in un’atmosfera che ci riporta indietro di molti secoli, abbiamo la possibilità di immergerci anche nella natura. Infatti possiamo trovare piante di quercia tipica della macchia mediterranea, utilizzata come legna da ardere; il pioppo usato nell’industria cartiera; il biancospino usato nell’industria farmaceutica grazie alle sue proprietà sedative e rilassanti; il leccio, uno dei migliori legni da ardere poiché produce molto calore e si consuma lentamente e tantissimi ulivi secolari della varietà Carolea, olivo sia da mensa che da olio. Poi ancora mandorli, peri selvatici.

E parliamo un po’ anche di leggenda per attrarre i più piccini partendo dalla storia di Atena e la Cornacchia. Tante cornacchie continuano a vivere qui.

Athena Skylletria è il nome di questa colonia greca fondata nel Golfo di Squillace e dedicata alla potente dea protettrice della città di Atene. Divenuta una colonia romana la città non smise di essere consacrata alla dea assumendo la denominazione di Minerva Scolacium.
Zeus divise le competenze fra gli dei al fine di definire un ordine e per farlo doveva necessariamente fare una serie di “matrimoni”, unendosi ad entità divine che gli conferissero dei valori e dei poteri di cui aveva bisogno. Si unì infatti con Metis, la Saggezza. Da questa unione stava per sarebbe nata Atena, la dea della Saggezza per eccellenza. Il Signore degli dei però pensò che la figlia avrebbe potuto essere più forte del padre e quindi il suo trono avrebbe potuto essere in pericolo. Chiese consiglio al Cielo Stellato e alla Terra che gli suggerirono di inghiottire Metis la sua sposa, in modo che Atena potesse nascere direttamente da lui. Finalmente nacque con le sembianze di una fanciulla, vestita con il peplo, dai lunghi capelli raccolti e con un elmo, uno scudo e una lancia è armata perché deve difendersi. Le è sacro l’albero d’ulivo perché è una pianta preziosa, nelle antiche monete ateniesi, è raffigurata insieme a una civetta, l’animale sacro.

Ci fu un tempo in cui la dea però aveva come suo animale sacro proprio la nera cornacchia. Cheronea era una principessa della Focide, figlia di un re, era una ragazza era molto bella, desiderata e seducente. Mentre passeggiava lungo la riva del mare, il dio degli oceani, Poseidone, potente fratello di Zeus, la vide e si innamorò. Prima cercò di sedurla con parole dolci, poi l’avvinghiò fra i suoi flutti cercando di possederla e farla sua con la violenza. La giovane stava per soccombere sotto la forza brutale di quel dio violento e impulsivo, quando le venne in aiuto la vergine Atena che per liberarla dalla morsa di Poseidone le donò le sembianze di un uccello nero. La fanciulla vide il suo peplo mutarsi in piume e le sue braccia in ali. La dea dunque la consolò e le concesse di divenire il suo animale sacro.

Atena aveva però un grande segreto. Era stato riferito ad Efesto, il dio del fuoco, che la vergine dea smaniasse d’amore per lui che era vecchio e zoppo. Appena saputo, l’assalì e tentò di farla sua. Per la guerriera non fu difficile respingere la forza brutale del dio, ma l’eccitazione del dio era tale il seme non cercato del dio del fuoco le cadde addosso e lei con sdegno si pulì con un panno di lana che gettò schifata a terra.

La Terra fecondò quel seme nacque così un essere mostruoso: Erittonio ad Atena non rimase altro che rinchiuderlo in una cesta e lo consegnò a tre fanciulle chiedendo di fare la guardia, ma vietando assolutamente di aprire quel paniere magico. Come supervisore mise la sua fidata cornacchia.

Le fanciulle obbedirono al volere della dea, ma quel paniere le incuriosiva molto perché dal suo interno si sentivano provenire gemiti e vagiti. Fu una delle tre a decidere di aprire la cesta, le altre non erano molto d’accordo ma la stranezza di quell’involucro misterioso le affascinava e le atterriva allo stesso tempo. La povera cornacchia si accorse di quello che stava accadendo ma non fece niente e stette a guardare anche lei lo strano contenuto della cesta magica. Quando aprirono il coperchio le fanciulle videro un bambino straordinario e mostruoso insieme per metà umano ma con le gambe formate da spire di serpenti e disgustose squame di rettili.

Solo a quel punto la cornacchia volò via per avvertire Atena, ma ormai era troppo tardi, aveva tradito la sua fiducia e niente la poteva riabilitare agli occhi della dea. La sua punizione fu dura la dea la ripudiò per sempre e da allora scelse come animale a lei sacro la civetta.

Se ho catturato la vostra attenzione allora dovete venire ad assaporare i colori e i profumi di questo luogo e vi assicuro che ne rimarrete entusiasti.


No al Ponte sullo Stretto, Touring e altre 9 associazioni chiedono al Governo di resistere alle pressioni

Fonte: Citynow.it

In 4 punti le 10 associazioni spiegano le motivazioni di carattere giuridico, economico, tecnico, ambientale alla base della loro decisione

Dieci associazioni di protezione ambientale chiedono al Governo di resistere alle pressioni politiche e delle imprese che vogliono il rilancio del progetto del ponte sullo Stretto di Messina (abbandonato nel 2013) e alla richiesta che l’intervento venga inserito nel PNRR. Le associazioni intervengono, anche, a sostegno della posizione del Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile Enrico Giovannini che sta valutando le alternative sull’attraversamento dello Stretto sino all’opzione zero.

L’argomentata lettera è stata inviata, oltre che al Ministro Giovannini, al Presidente del Consiglio Mario Draghi e al Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani da Touring Club Italiano e da altre nove associazioni: FAI – Fondo Ambiente Italiano, Federazione Pro NaturaGreenpeace ItaliaItalia NostraKyoto ClubLegambienteLipu – Birdlife ItaliaT&E – Transport & EnvironmentWWF Italia.

 

NO AL PONTE SULLO STRETTO, LE MOTIVAZIONI DELLE 10 ASSOCIAZIONI

Quattro le motivazioni di carattere giuridico, economico-finanziario, tecnico, ambientale sostenute dalle associazioni.

1. Valutazioni delle alternative e PNRR – Le associazioni condividono la posizione assunta dal ministro Giovannini a metà marzo che, a quanto risulta, ha chiesto alla Commissione, costituita dalla Ministra De Micheli nell’agosto 2020 sull’attraversamento stabile dello Stretto di Messina, di produrre approfondimento anche sull’opzione zero, valutando anche l’alternativa alla costruzione del ponte costituita dal potenziamento dei servizi traghetti, porti e stazioni ferroviarie. Approfondimento che fa escludere che la proposta possa essere inserita tra i progetti del PNRR che devono essere definiti entro il prossimo aprile, secondo gli standard e il grado di dettaglio richiesti dalle Linee Guida e dal Regolamento per la redazione dei PNRR e nel rispetto del principio “no significant harm” (nessun danno significativo).

2. L’abbandono del progetto del 2010 – Le associazioni ricordano al Governo, a proposito del rilancio del progetto del 2010 del General Contractor Eurolink (capeggiato da Impregilo), avvenuto a metà marzo, da parte del Webuild (società composta da Impregilo-Salini e da Astaldi) di un ponte sospeso ad unica campata della lunghezza di 3.300 metri, sostenuto da torri alte 400 metri,. E sottolineano che quella proposta fu abbandonata dopo che il GC Eurolink non produsse, entro il termine dell’1/3/2013 stabilito dall’allora Governo Monti, gli approfondimenti economico-finanziari e tecnici richiesti, recedendo dal contratto con la concessionaria Stretto di Messina SpA, portando il Governo allora in carica ad abbandonare il progetto e all’avvio della procedura di liquidazione di SdM SpA.

3. I problemi irrisolti del progetto del 2010 – Le associazioni osservano che già nel 2010 il progetto del ponte aveva un costo stimato al ribasso di 7.5 – 9 miliardi di euro, che però non considerava le 35 prescrizioni di carattere tecnico e ambientale allora richieste nel parere di Valutazione di Impatto ambientale e dal CIPE. Le modifiche richieste erano sostanziali e in alcuni casi di una complessità senza precedenti per un’opera di queste dimensioni, da realizzare in una delle aree più delicate da un punto di vista del rischio sismico e idrogeologico. Dalle carte del progetto definitivo del 2010 emergeva che: a) il ponte a regime sarebbe stato in perdita, per ammissione degli stessi progettisti perché il traffico ferroviario era assolutamente insufficiente e quello stradale stimato era solo l’11% rispetto alla capacità complessiva dell’infrastruttura, con il rischio che i pendolari (la stragrande maggioranza degli utenti) fossero applicati pedaggi altissimi; b) il ponte ad unica campata sarebbe sorto in una delle aree a maggiore rischio sismico del Mediterraneo (come ricordato dal devastante terremoto del 1908 che rase al suolo Messina e Reggio Calabria) e tra le più dinamiche al mondo dal punto di vista geologico per l’incontro-scontro tra la placca africana e quella europea; c) con scavi per un ammontare di 6.800.000 metri cubi, che avrebbero inciso sul delicato equilibrio territoriale dei versanti calabrese e siciliano; d) non tenendo conto che l’opera sarebbe dovuta sorgere in una delle aree a più alta biodiversità del Mediterraneo, dove sono localizzati ben 12 siti delle Rete Natura 2000, tutelati dall’Europa ai sensi delle Direttive Habitat e Uccelli.

4. Lavorare subito per le alternative e per migliorare i servizi – Le associazioni chiedono al Governo un confronto per individuare gli interventi veramente necessari per migliorare la logistica e le reti ferroviarie e stradali siciliane e calabresi, ricordando come in questi anni i servizi forniti dai traghetti e dalle ferrovie siano stati ridotti e come ci sia bisogno di interventi urgenti su infrastrutture che devono essere messe in sicurezza e adeguate (per carenze nella progettazione ed esecuzione dei lavori o per scarsa manutenzione), pensando nel contempo a velocizzare le relazioni e a favorire l’intermodalità a vantaggio di residenti e turisti.

Le Associazioni concludono la loro lettera facendo notare al Governo che, nel momento in cui l’Italia è la maggiore beneficiaria in Europa dei fondi messi a disposizione dall’Europa con lo strumento Next Generationi EU, si debba mantenere saldo l’orientamento a presentare progetti credibili e cantierabili, respingendo ogni forzatura per proposte come quella del ponte sullo Stretto di Messina, non sufficientemente motivate, che non passerebbero il vaglio dell’Europa.


Il Pil crolla al Sud e i giovani scappano

Fonte: Corriere della Calabria

Economia del Mezzogiorno sempre con il freno a mano tirato secondo uno studio di Confcommercio. Le zavorre sono «la burocrazia, la criminalità e le carenze infrastrutturali»

 

LAMEZIA TERME Economia del Mezzogiorno sempre con il freno a mano tirato: lo afferma una ricerca dell’Ufficio studi di Confcommercio, secondo la quale negli ultimi
venticinque anni la quota di Pil prodotta dal Sud sul totale nazionale è diminuita, passando da oltre il 24% del 1995 al 22% del 2019, con un livello di occupazione che ha evidenziato una crescita cumulata pari ad appena un quarto della media nazionale
(4,1% contro il 16,4%). Un fenomeno, quest’ultimo, che sconta prevalentemente gli
effetti della riduzione della popolazione residente, in particolare quella giovanile, che al Sud si è ridotta di oltre 1,5 milioni nel periodo considerato.

Difetti strutturali e burocrazia

Tra le principali cause di questa disparità, secondo l’Ufficio studi di Confcommercio «difetti strutturali come burocrazia, criminalità e carenze infrastrutturali». Se tali difetti fossero ridotti in modo tale da portarne le dotazioni ai livelli osservati nelle migliori
regioni italiane, il prodotto lordo meridionale crescerebbe a fine periodo di oltre il 20% (+90 miliardi di euro) rispetto ad uno scenario in assenza di interventi. Le differenze invece nel frattempo aumentano, almeno a partire dalla crisi del 2008: il rapporto tra prodotto pro capite reale di un abitante del Sud rispetto a quello di un abitante del Nord-ovest scende da 0,55 (55%) a 0,52. In termini di popolazione, il peso del Sud sul totale Italia passa dal 36,4% al 33,9% e diminuiscono in particolare i giovani: se tra il 1995 e il 2019 l’Italia nel complesso perde oltre un milione di giovani (da poco più di 11 milioni a poco più di 10 milioni) a pesare sono i giovani meridionali, che diminuiscono di un milione e mezzo. «È abbastanza evidente che, in prospettiva futura, i maggiori timori per il dopo-pandemia si addensino sul pericolo di tornare a crescere agli insufficienti tassi del passato recente. Per scongiurare questo pericolo servono maggiori risorse, anche di derivazione europea, e un piano di riforme con l’obiettivo di aumentare e utilizzare meglio il capitale produttivo e umano, oltre a sfruttare le enormi potenzialità del turismo», conclude l’Ufficio studi di Confcommercio, secondo il quale in valore assoluto le presenze
straniere di tutto il Sud risultano inferiori a quelle del solo Lazio.


DISTRETTI DEL CIBO – incontro sul tema, Calabria Condivisa guarda all’imminente bando regionale

Già apparso in fase di preinformazione, sta per essere pubblicato il bando regionale che attua la normativa nazionale sulla nascita dei c.d. “Distretti del Cibo“. Calabria Condivisa organizza quindi un incontro dibattito sul tema, raccogliendo esperti e organizzazioni del settore, per discutere delle prospettive che apre il bando, della struttura dei futuri Distretti, delle opportunità ma anche della organizzazioni tra territori e filiere, per usare la novità come una risorsa per la Calabria.

L’incontro potrà essere seguito sulla pagina del Gruppo Calabria Condivisa https://www.facebook.com/groups/www.calabriacondivisa.it , alle ore 17,00 del 7 Aprile 2021. 


Il futuro del Mezzogiorno: chiamare le nuove generazioni a progettare

Maurizio Lovecchio

Dal primo lockdown fino a dicembre 2020 il 52,3% delle imprese calabresi è rimasto chiuso e oltre il 58% non ha fatturato o ha fatturato meno del 50%. La Calabria, come tutto il nostro Meridione, ha bisogno di agganciare le opportunità messe in campo dal Next Generation EU. Ma come fare? Quali sono gli obiettivi prioritari per favorire la ripartenza della Regione. Ne abbiamo parlato nella nostra rubrica Il punto a Mezzogiorno con Fortunato Amarelli, Presidente di Confindustria Cosenza. 

Presidente, che cosa serve per affrontare la crisi e favorire la ripartenza?

Indubbiamente servono molte cose: per prime le risorse, che sono state in qualche modo già predisposte in maniera anche ampia. Serve, poi, una grande capacità di pensare al futuro e a quello che possiamo costruire insieme. Credo che serva anche una certa mentalità verso la crescita: si esce da questa crisi non soltanto attraverso i decreti, non soltanto grazie alle risorse. Si esce dalla crisi se ognuno di noi nel proprio lavoro – e non parlo soltanto degli imprenditori ma di chiunque, anche dei cittadini – comincia a pensare che il bene comune viene prima di ogni altra cosa. Quindi, se tutti ragioniamo in termini di comunità, piuttosto che in termini di individualità, credo che riusciremo ad imboccare la giusta strada per uscire dalla crisi.

Lei ha fatto riferimento alle risorse e alla copertura degli investimenti che sicuramente ci saranno. Il Next Generation EU prevede molte risorse per investimenti da realizzare anche al Sud. Quali errori non dovremmo commettere, soprattutto qui in Calabria, per non sprecare questa ennesima opportunità che ci offre l’Europa e questa possibilità di spendere fondi pubblici per rilanciare lo sviluppo della Calabria?

Intanto, direi che non è una questione solo di risorse. O meglio, non è una questione di quantità di risorse. La Calabria è una Regione che ha bisogno sicuramente di aiuti economici come tutto il resto dell’Europa, ma ha soprattutto bisogno di progettazione e di capacità di progettazione. Credo che oggi uno degli investimenti che dovremmo fare sarebbe quello di migliorare la capacità di progettazione della Pubblica amministrazione.

E, inoltre, pensare alle imprese, l’altro fondamentale interlocutore con il quale poi si confronteranno i Next Generation EU. Questi sono fondi destinati a far crescere il nostro Paese nei prossimi 50 anni, questo è il tema. Stiamo investendo l’ammontare di circa 3 finanziarie in un unico anno. È come se oggi mettessimo le risorse stanziate in tre anni in un’unica programmazione. Quindi, capite bene, che è una quantità di denaro importante, e deve esserci la capacità di traguardare i progetti che non devono essere fine a se stessi, di breve durata, ma dovranno essere il mezzo per recuperare e dare una crescita importante anche in futuro. Allora, forse, sarebbe fondamentale – proprio perché si chiamano Next Generation EU – chiamare a progettare la nuova generazione, evitando di tirar fuori dai cassetti progetti polverosi e fare invece progetti soft, provare a chiedere ai giovani che cosa funzionerà tra 50 anni, perché gli investimenti che facciamo oggi dovranno essere investimenti che daranno i loro frutti nel lungo periodo.

Il Premier Draghi nel suo discorso al Senato ha detto: «Lo Stato ha il dovere di aiutare tutti, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente, e toccherà alla politica aiutare le imprese a sobbarcarsi di questo cambiamento». È d’accordo con questa affermazione? Quali attività dovremmo tutelare e rilanciare in Calabria?

Io credo che in questo il Premier Draghi abbia voluto dirci una cosa molto importante e secondo me molto vera. Ricordo una frase, che a me piace molto, di Henry Ford che diceva: «Conosco soltanto due tipi di aziende: quelle che cambiano e quelle che chiudono». Anche i business più tradizionali, le aziende più longeve, hanno avuto bisogno di rinnovarsi quotidianamente ed innovare quotidianamente il proprio modello di business. L’innovazione è fondamentale, è una grande opportunità perché è un grande driver di sviluppo e di crescita, ma anche una grande necessità.

Quante aziende abbiamo visto chiudere proprio perché arriva sul mercato un’innovazione tecnologica? In realtà, probabilmente quelle aziende finiscono, esauriscono il loro modello di business, perché non sono riuscite ad interpretare il nuovo che stava arrivando. Quindi credo che Draghi intendesse principalmente questo. È ovvio che, se dobbiamo fare un ragionamento di politica economica nazionale e se io oggi dovessi decidere su che cosa puntare, certo proverei a immaginare di diventare leader in Italia di alcune sotto-categorie. Perché oggi diventare azienda leader (con un panorama di utenza e di distribuzione a livello globale) può sicuramente favorire la stabilità del Paese e della sua economia. Ci sono alcune aziende, alcuni particolari business, nelle quali già siamo leader, che non sono le grandi categorie ma alcune sottocategorie nelle quali, se io fossi oggi il Presidente del Consiglio, investirei a prescindere, magari anche con capitale pubblico. Oggi dobbiamo conquistare alcune leadership di mercato globale se vogliamo essere ancora la settima potenza industriale del mondo.

Innovazione e ricerca: proprio qualche giorno fa Confindustria Cosenza ha siglato un’intesa con un l’Università della Calabria per monitorare la creazione di nuove startupCome imprenditore cosa consiglierebbe ad un giovane talento laureato all’Unical che dovesse decidere di intraprendere e di restare in Calabria?

Innanzitutto, è importante puntare sulle attività tradizionali, anche se su di esse probabilmente c’è già una dimestichezza acquisita dei nostri giovani. Allo stesso tempo, credo però che l’innovazione rappresenti il più grande driver di crescita economica. Se pensate che oggi, nel mondo, le più grandi aziende sono imprese nate meno di 30 anni fa, allora significa che dobbiamo fare i conti con un dato incontrovertibile, e cioè che lo sviluppo viaggia attraverso l’innovazione. Quindi, arrivare per primi è uno dei vantaggi competitivi più importanti per fare impresa, che ci sia alla base un business tradizionale o un business altamente tecnologico, come tutti quelli che vengono fuori anche dagli spin-off della ricerca dell’Università della Calabria, l’importante è arrivare per primi sul mercato. Questo è di fondamentale importanza. Riguardo al settore, penso a tutto il mondo IOT (Internet of Things), e penso al mondo della sensoristica presente in azienda per le indagini preventive. Tra l’altro, l’Europa vuole a tutti i costi che le industrie diventino 4.0. Se pensiamo che in questo momento gli investimenti in industria 4.0 sono finanziati all’85% di credito di imposta, il messaggio a favore della digitalizzazione delle industrie appare chiaro. La transizione digitale deve essere effettuata in tempi veloci, è un punto fondamentale e strategico per tutto il sistema. Quindi non c’è dubbio che in questo campo ci sarà sempre grande fermento anche nei prossimi anni.