Category Gruppo per lo Sviluppo Sostenibile del Territorio Sapori e Colori di Calabria

QUANDO UN BORGO MEDIOEVALE SPOPOLATO PUÒ DIVENTARE IL LUOGO GIUSTO IN CUI VIVERE

Fonte: Mezziogiornoitalia.it

Guerino Nisticò

In Calabria, tra i tanti “esperimenti” in corso da tempo, emerge anche l’esperienza di Badolato come un “Borgo-Natura Slow & Smart”, con una nutrita presenza di cittadini stranieri.

Dalla pandemia non solo macerie, ma anche sfide e prospettive per nuove opportunità e potenziali forme di “ri-abitazione” del Sud.

Il Mezzogiorno d’Italia, con i suoi piccoli comuni, vive da decenni il grande rischio dello spopolamento, dell’abbandono e della desertificazione sociale ed economica. Siamo giunti ad un punto di non ritorno e ai nostri occhi si prospetta una situazione paradossale: da un lato, l’acuirsi di problematiche storiche, drammaticamente lasciate irrisolte che comportano lo svuotamento del Sud; dall’altro, una speculare opportunità per il futuro, con la prospettiva di una potenziale risoluzione del fenomeno dello spopolamento con una nuova visione delle cose, probabilmente accentuata dalla pandemia e da ciò che ha creato in questi mesi con tutte le sue contraddizioni e complessità. Tra le sue macerie si intravedono ombre e luci, con dinamiche svariate e contorte – di cui abbiamo preso consapevolezza e coscienza collettiva – che hanno fatto esplodere l’attuale sistema sociale ed economico, con una crisi sanitaria ed ambientale e con la messa in discussione dei vecchi paradigmi di produzione, stili di vita e modelli di consumo.

La sfida è finalmente riuscire a meridionalizzare l’Italia e ribaltare la prospettiva e la discussione politico-economica sul “Next Generation EU” con un nuovo pensiero meridiano. Ripartire quindi dal Sud smuovendo Regioni e Comuni ad avanzare e far valere proposte concrete, utili a risolvere definitivamente la vecchia e nuova questione meridionale, e a colmare il doppio divario Nord/Sud e Italia/Europa, le forti diseguaglianze tra cittadini e territori e il disequilibrio demografico. Il Piano nazionale di recupero e resilienza potrebbe essere l’ultima occasione per non far morire il Sud, le aree interne ed i suoi borghi.

Le dinamiche dello spopolamento sono quasi sempre le stesse – tra eventi e catastrofi naturali, grandi emigrazioni di massa, soffocamento dei territori da parte delle mafie, crisi economiche e disoccupazione – ed i badolatesi le conoscono molto bene. Infatti, l’esperienza del nostro borgo, che nei decenni passati ha rischiato di divenire un “paese fantasma”, insegna che la resistenza decisa al latente processo di abbandono e spopolamento può condurre ad una rivitalizzazione sociale ed economica, seppure lenta, in chiave soprattutto turistico-culturale, con un’idea di turismo attento alle persone e all’ambiente e lontano dall’essere un meccanismo di consumo, ed agricola (“Badolato paese in vendita” 1986-88; “Badolato paese solidale, ospitale e accogliente” dal 1997 in poi; “Badolato paese degli artisti e degli stranieri” dal 2001 in poi). Una rivitalizzazione resa possibile dall’implementazione di un modello pioniere di “ospitalità diffusa” (nato a ridosso dei progetti sperimentali di accoglienza ai migranti e sviluppatosi meglio intorno al 2000/2001), con un suo micro-sistema di economia sostenibile costruito dal basso, in cui il Genius Loci è la stessa comunità locale che, in un paese-comunità come Badolato, oggi crocevia di popoli e culture, è da secoli vocata alla “filoxenia” (amore per il forestiero), a forme autentiche di accoglienza ed ospitalità con processi virtuosi di contaminazioni interculturali pro-positive.

Al momento, nel centro storico di Badolato, un vero e proprio “borgo natura – slow & smart”, sono domiciliate oltre 200 persone e tra queste sono oltre 60 (tra permanenze stabili e lunghi soggiorni) le cittadine ed i cittadini stranieri (pensionati, famiglie con bambini, singoli, migranti) che abitano, vivono ed interagiscono nei e con i luoghi che caratterizzano il vivere quotidiano di Badolato. È in atto, in piccola scala, un fenomeno interessante che sta dando forma e corpo alla nascita di una nuova comunità interculturale e di respiro internazionale, composta da cittadini storici autoctoni e dai cosiddetti “neo-badolatesi/badolatesi d’adozione” quali ad esempio turisti italiani ed esteri, “cittadini temporanei” con famiglie di ospiti stranieri, migranti. Un microcosmo di globalizzazione sostenibile caratterizzato da coraggiose “restanze”, straordinarie “ritornanze” ed interessanti “nuove arrivanze”, a cui si aggiunge un segmento turistico importante (a tratti sproporzionato, ad esempio nel mese di agosto, che andrebbe regolato e gestito diversamente), caratterizzato da un variegato mondo di visitatori, ospiti, turisti residenziali, viaggiatori, nuovi cittadini.

Altro dato importante è il fatto che a Badolato sono circa 80 le famiglie straniere – provenienti soprattutto dal Nord Europa (svedesi, danesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, olandesi, francesi ecc.) – che hanno acquistato casa nel borgo, circa 100 nella frazione marina (fenomeno immobiliare e di rigenerazione urbana interessante che in questi mesi di emergenza e crisi Covid-19 è ulteriormente aumentato, in proporzione, sia quantitativamente che qualitativamente). Sono quindi oltre 60, anche famiglie con bambini (circa 20), gli ospiti stranieri – tra neo-cittadini badolatesi e cittadini temporanei – che si sono trasferiti a vivere nel borgo durante l’intero anno, a volte con formule di “turismo residenziale” virtuoso (con formule di “turismo immersivo”, grazie al quale si può vivere appieno i luoghi), acquistando anche appezzamenti di terra per l’autoproduzione del cibo e/o avviando progetti innovativi di rigenerazione urbana e rurale di alcune aree abbandonate di Badolato. Per tanti un “buen ritiro”, per altri una “nuova destinazione umana” con una scelta di vita alternativa e coraggiosa, forse dettata anche da un pensiero d’avanguardia.

Ai numeri citati si devono aggiungere, inoltre, le tante “dimore” acquistate e ristrutturate (circa 100 unità), vissute stagionalmente e quindi trasformate in residenze estive o turistiche, da tanti “badolatesi d’adozione” (italiani e stranieri) appartenenti al mondo dello spettacolo e della cultura. Sono stati anche tanti i cittadini locali o gli emigrati badolatesi, sparsi in giro per il Mondo, che hanno ristrutturato le proprie case di famiglia nel borgo o dato vita a progetti innovativi nella filiera turistico-commerciale ed agricola-alimentare. Un processo di rivitalizzazione lento e paziente, che va sostenuto e che in questi ultimi anni ha fatto registrare – anche se per il momento solo durante la stagione turistica – la nascita e crescita di piccole attività turistico-commerciali gestite anche da giovani famiglie ed operatori.

Per far ciò bisogna impegnarsi anche a: potenziare la rete dei servizi locali e territoriali, partendo dai presidi sanitari e dalle infrastrutture, anche di carattere sociale; serve un “recovery future” capace di puntare ad investimenti green, investimenti pubblici strutturali e mirati, volti a creare anche ridistribuzione della ricchezza e nuove opportunità di lavoro, partendo dall’innovazione tecnologica e digitale; creare spazi comunitari di civiltà e bellezza, facendo diventare la marginalità e l’isolamento tipicità e valore aggiunto; internazionalizzare ulteriormente il processo avviato in questi anni con uno slancio rinnovato e strutturato; alzare il livello di vivibilità e l’offerta di servizi in generale; continuare inoltre a riqualificare l’esistente, preservando la vera ricchezza che era e resta il contesto naturalistico che vanta, in pochi chilometri quadrati, “quattro dimensioni” quali mare-spiagge, collina-borghi, campagna-agricoltura-fiumare, montagna-cascate-laghi.

Bisogna agire con una visione prospettica volta ad innescare processi “slow & smart”, capaci di combinare tradizione/autenticità/lentezza e innovazione/economie sostenibili ed agili, autoctoni e forestieri, con borghi e paesi dell’entroterra sempre più aperti al Mondo. Anche il “South Working”, fenomeno nato in questi ultimi mesi, sposato dalla Fondazione con il Sud e dalla SVIMEZ, potrebbe essere seriamente un’occasione di rilancio del di questo territorio. Una svolta epocale, anche rispetto al capovolgimento dei paradigma di produzione e del sistema di lavoro. Una opzione soddisfacente per i tantissimi “nomadi e creativi digitali” internazionali e per chi vorrebbe tornare o trasferirsi al Sud, coniugando nei fatti il proprio lavoro ad uno stile di vita lento e sostenibile, tipicamente mediterraneo.

Un’inversione di rotta e di prospettiva anche politica ed economica: l’ossessione per la “pura crescita economica” e del profitto, causa dei problemi attuali, non può più essere vista come la loro stessa soluzione. La sfida è anche liberare le persone dalle grinfie del lavoro, della produzione asfissiante e del surplus del lavoro del sistema capitalistico neo-liberista, e dar loro più tempo per godersi i luoghi, viverli insieme al resto della comunità. Provare quindi a godersi la propria vita in pieno e reale Ben-Essere e a stretto contatto con “Madre Natura”, riconquistando e praticando sempre il “diritto di respirare”, poiché può esser la stessa Natura a far sparire ogni paura, vecchia e nuova.


Porto di Gioia Tauro, superare la burocrazia per un nuovo sviluppo. Intervista al Commissario dell’Autorità portuale, Andrea Agostinelli

Nella rubrica “Il punto a Mezzogiorno” il magazine online dell’Eurispes raccoglie esperienze, storie e testimonianze positive che emergono da Sud e che in un momento così difficile per il Paese possono rappresentare un modello di buone pratiche e offrire una narrazione diversa dei territori del nostro Meridione.

Abbiamo quindi raggiunto il Comandante Andrea Agostinelli, Commissario straordinario per l’Autorità Portuale di Gioia Tauro, per raccogliere la sua testimonianza e raccontare il lavoro dell’Autorità.

Ammiraglio, durante la Sua gestione il porto di Gioia Tauro è cresciuto costantemente e Lei ha espresso particolare soddisfazione per l’apertura del collegamento ferroviario, ha dichiarato più volte di voler puntare sulle attività da avviare nel retroporto anche per diversificare i servizi e le attività. Quali saranno gli obiettivi e le principali ricadute di queste due scommesse?

La scommessa sul retroporto è intimamente legata allo sviluppo della Zona Economica Speciale (ZES) a cui l’Autorità Portuale di Gioia Tauro sta collaborando in stretto raccordo con il Commissario straordinario del comitato di indirizzo della ZES Calabria, vale a dire la Professoressa Nisticò. La Prof.ssa Nisticò è stata anche recentemente in visita al porto di Gioia Tauro, e sta proseguendo con un tour di incontri con le categorie, con la Confindustria, con i sindacati, per vedere cosa è veramente necessario questa Zona Economica Speciale. Quello della ferrovia è stato un grande risultato. Certamente l’obiettivo finale sarebbe quello di aprire in Calabria, nel retroporto di Gioia Tauro, i contenitori in arrivo nel porto, e non solo farli ripartire, vuoi con le navi, vuoi via ferrovia. Aprire i contenitori significa realizzare un polo industriale-commerciale a Gioia Tauro. E, questo, con una ZES pienamente operativa, credo che sarà il prossimo, grande obiettivo.

In particolare, nell’ultimo anno, sono stati avviati importanti lavori e notevoli investimenti sul porto di Gioia Tauro. Si può guardare, quindi, con ottimismo al futuro del porto di Gioia Tauro? E da Ammiraglio e “uomo di mare” Le chiedo: che cosa vede all’orizzonte?

Devo essere ottimista, anche se poi magari caratterialmente non lo sono poi così tanto. Lei citava i lavori della banchina di Ponente e la realizzazione di un polo per la cantieristica e per le riparazioni navali che rimane il sogno di questa Autorità Portuale: un sogno che, gradatamente, si va realizzando. Ma vorrei anche sottolineare le immense e ricorrenti difficoltà e gli ostacoli burocratici che si frappongono – dalla ideazione alla realizzazione – di una infrastruttura, oggi, in Italia. Quindi sarà una lunga guerra; un percorso che ci porterà alla configurazione di un porto diverso da quello che è oggi Gioia Tauro.

Ha citato, tra le maggiori difficoltà, l’apparato burocratico e tutta la macchina della Pubblica amministrazione che segue, o dovrebbe seguire, le attività e lo sviluppo di questo Porto. Quali sono stati i principali successi della Sua gestione?

Non so se otterrò questo successo; però, dopo un commissariamento lungo 5 anni, l’obiettivo è quello di creare una coscienza. La Calabria, la società civile calabrese, deve sapere, deve conoscere pregi e difetti del porto di Gioia Tauro, che è un Hub di trasbordo, ma noi contiamo che diventi anche un porto gateway con il collegamento ferroviario di cui si parlava. Ecco, la coscienza e la costituzione di una comunità portuale è certamente un grande obiettivo. Tra l’altro una comunità portuale non esisteva, perché questo porto è stato costruito in maniera artificiale in una zona rurale, in una zona agricola, quindi senza una tradizione. Tradizione che invece possono vantare i porti storici del Centro e del Nord Italia. La costituzione di questa coscienza e di una comunità portuale potrebbero essere, quindi, un risultato molto significativo.

C’è qualcosa che avrebbe voluto fare che non è riuscito a realizzare, almeno finora?

Devo dire la verità, con le immense difficoltà che le citavo, abbiamo progettato e realizzato alcune opere: non solo il gateway ferroviario all’interno del porto di Gioia Tauro, ma abbiamo avanzato fasi di progettazione anche negli altri porti di Corigliano e di Crotone. Infrastrutture sulle quali mi vorrei soffermare più a lungo, perché i porti della Regione (Corigliano e Crotone) sono stati, indubbiamente, dimenticati da questa Autorità Portuale, per una serie di motivi. È inutile che accenni alla gravissima crisi del porto di Gioia Tauro, che ha attanagliato i traffici del porto nell’ultimo decennio e che ha costretto una Autorità Portuale così piccola, e così sprovvista di risorse organiche, ad interessarsi unicamente di questo porto. Il nostro focus era la risoluzione della crisi di questo porto; credo che siamo debitori nei confronti dei porti di Corigliano e di Crotone di analoga attenzione, e questo sarà l’obiettivo dell’Autorità portuale (o dell’Autorità di Sistema portuale) quando arriverà la governance nei prossimi anni.

A livello competitivo conta molto, nell’epoca in cui viviamo, caratterizzata dalla comunicazione e dai mezzi di comunicazione, la reputation. Leggiamo, quasi quotidianamente, notizie di cronaca legate a sequestri di armi o di droga presso lo scalo di Gioia Tauro. Può darci buone notizie che smentiscano la cronaca quotidiana?

Che il porto di Gioia Tauro goda di una pessima reputation è un fatto assodato. La stessa Autorità Portuale spende ingenti somme di denaro nella sicurezza e nell’ausilio alle Forze dell’ordine, alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, oltre che nella lotta contro il narcotraffico e nella protezione esterna dell’area e del compound portuale. Tutto ciò, però, non significa che questo fatto debba diventare una vulgata. Sono contrario a reputare il porto di Gioia Tauro come “il porto della ‘Ndrangheta” o come “il porto della cocaina”. Certamente ne viene scoperta in grande quantità a Gioia Tauro grazie alla bravura e all’intelligence della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ma non credo che traffici di sostanze stupefacenti illeciti non avvengano in altri porti nazionali e internazionali. Il buono di questo porto sono le straordinarie capacità tecnico-nautiche che consentono l’arrivo delle più grandi unità mercantili del mondo (e di questo vado orgoglioso). Per quanto riguarda i fattori negativi io sono anche un Commissario “Istituzionale”, quindi abbiamo messo la legalità al primo posto, ancora prima di risolvere la crisi economica dei traffici.

Dopo quasi sei anni, secondo Lei, non sarebbe auspicabile una Authority ordinaria, con un management competente capace di programmare le attività del porto con continuità e con una visione di medio-lungo periodo? Che cosa potrebbe fare di più e meglio rispetto alla sua gestione?

Quando ero Commissario abbiamo fatto le stesse cose che una gestione presidenziale avrebbe fatto nell’emergenza della crisi cui le accennavo, e nel processo di sviluppo e di rilancio che auspichiamo per questo porto e per la portualità calabrese. Quanto al resto, ha perfettamente ragione, sono il primo a sollecitare il Governo a dare una governance al porto di Gioia Tauro e alla portualità calabrese. La famosa Autorità di Sistema del basso Tirreno e dello Ionio che non è mai stata istituita. È il momento di farlo ora, dopo cinque anni faticosissimi. Anche perché, dopo cinque anni e mezzo, la figura del Commissario in Calabria perde un pezzo della sua legittimazione e, quindi, credo che sia venuto il momento per definire una governance definitiva, che abbia una visione strategica delle problematiche della portualità calabrese dei prossimi anni.

 

 


Distretti del Cibo – la posizione di Calabria Condivisa – rassegna stampa

 

 

https://www.weboggi.it/cronaca/distretti-del-cibo-rete-calabria-condivisa-mancano-procedure-di-evidenza-pubblica-1/

https://www.lanuovacalabria.it/distretti-del-cibo-rete-calabria-condivisa-mancano-procedure-di-evidenza-pubblica

Distretti del Cibo. Rete Calabria Condivisa: “Tutto fermo”

Distretti del Cibo: tutto fermo

http://www.costaviolanews.it/index.php/cronaca/23925-distretti-del-cibo-calabria-condivisa-e-tutto-fermo-mancano-procedure-di-evidenza-pubblica

http://www.reportageonline.it/rete-calabria-condivisa-distretti-del-cibo-tutto-fermo-vuoti-istituzionali-mancano-procedure-di-evidenza-pubblica/

https://www.weboggi.it/cronaca/distretti-del-cibo-rete-calabria-condivisa-mancano-procedure-di-evidenza-pubblica-1/

https://ildispaccio.it/calabria/262431-network-calabria-condivisa-delibera-giunta-regionale-insufficiente-per-fare-partire-realmente-i-distretti-del-cibo

DISTRETTI DEL CIBO Calabria Condivisa: “Basta ritardi burocratici”

 

 

 

http://www.lametino.it/Ultimora/rete-calabria-condivisa-mancano-procedure-di-evidenza-pubblica-dei-distretti-del-cibo.html