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Giornata Internazionale per le donne e le ragazze nella scienza

Si chiamano STEM, acronimo inglese per indicare i settori di Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica; in altre parole, l’ambito scientifico, in senso lato, del Sapere, che delimita la mai raggiunta Terra Promessa della popolazione femminile, a livello mondiale.

E’ uno dei tanti tabù da abbattere nel faticoso percorso verso la parità di genere, ma, soprattutto, verso il raggiungimento delle pari opportunità fra uomo e donna, dall’istruzione alla realizzazione professionale. Un percorso a diversa densità di flusso, che si avvia sin dalla scelta dell’indirizzo della scuola secondaria di secondo grado e che si acuisce con il successivo percorso universitario: il World Economic Forum ha rilevato che meno del 30% delle studentesse opta per un indirizzo universitario o post-universitario in questo settore, con percentuali insignificanti – dall’8% al 3%, dati UNESCO – per Ingegneria, Matematica e Statistica, ITC (Information and Communication Tecnology).

Per contrastare una “fuga” di cervelli, ma, ancor di più, per sensibilizzare e avvicinare le giovani al mondo delle Scienze, nel 2015, le Nazioni Unite istituiscono la Giornata internazionale per le donne e le ragazze nella scienza, che si celebra l’11 febbraio, con il patrocinio dell’UNESCO.

Le iniziative di quest’anno sono fortemente condizionate dall’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia da COVID-19, ma è stata proprio quest’ultima ad avere attirato l’attenzione degli osservatori ONU su due punti focali: da un lato, lo straordinario contributo dato dalle scienziate alla ricerca, alla sperimentazione, alla creazione di vaccini; dall’altro, l’impatto negativo sulle giovani scienziate, agli inizi della propria carriera, che maggiormente hanno risentito di quel gap fra uomo e donna, che si è ulteriormente dilatato, incidendo sulla parità di genere.

Il richiamo da parte dell’ONU alle Istituzioni, affinchè il gender gap non si acuisca, è perentorio: il quinto dei diciassette Substainable Goals dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite è proprio la Gender Equality, al cui raggiungimento saranno dedicati interventi e attività per la decade 2020-2030. Ma ancora poco è stato concretamente realizzato in questo settore.

Indubbiamente, tra i fattori che incidono sulla poca appetibilità delle STEM per le giovani generazioni femminili vi è la mancanza di modelli femminili di riferimento e un retaggio culturale granitico, che vuole la donna più predisposta (rectius, relegata) all’ambito letterario, filosofico, artistico.

E’ un falso mito, che sconta l’incrollabilità di un dogma lungo millenni.

Eppure, in una retrospettiva storica, che ci riconduce alla Calabria del VI secolo a.C., l’attitudine delle donne per la matematica, la scienza e per l’astronomia non era poi così singolare. La Scuola di Pitagora, a Crotone, vantava ben diciassette donne fra i propri componenti, con una considerazione della donna assolutamente paritaria e rivoluzionaria (diremmo noi) per i tempi. I contributi dati da quelle straordinarie donne alle conoscenze scientifiche allora praticate erano d’indiscutibile pregio; e fortissima era la personalità che le sorreggeva. E’ celebre la vicenda di Timycha di Sparta, sposa di Myllias di Crotone, fra “le più significanti donne Pitagoriche” per il coraggio e l’audacia dimostrati innanzi al tiranno siracusano Dionisio. Costui, avendo catturato lei, incinta, e il marito, la fece allontanare dal consorte e torturare, convinto che, a causa delle sue condizioni, avrebbe ceduto alla tortura, rivelando i segreti della Scuola Pitagorica. Ma Timyca, piuttosto che cedere, tagliò con i denti la lingua e la sputò in faccia al tiranno.

Alle donne Pitagora affidò la sua Scuola, i suoi scritti e il suo sapere: alla moglie Teano, cosmologa e fine matematica, e ad una delle tre figlie, Damo, la quale, pur avendo avuto la possibilità di venderli, “non li abbandonò, poichè giudicò la povertà e l’obbedienza ai comandi di suo padre più preziosi dell’oro”.

Ancora una volta, historia magistra vitae est, ma il futuro, per una donna, è incerto e insidioso, perché, come scrisse Artemisia Gentileschi ad Antonio Ruffo di Calabria e di Sicilia, “il nome di donna fa stare in dubbio, sinchè non si è visto l’opra”.

Anna Pizzimenti