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G20: persone, pianeta e prosperità!

Di Thomas Vatrano

In data 30-31 ottobre 2021 si è tenuto il sedicesimo incontro del Gruppo Venti (G20) a Roma. Il summit si è articolato su diversi temi che la presidenza italiana ha articolato in tre P: persone, pianeta e prosperità. Nel primo ambito si è discusso sugli effetti che la pandemia da Covid-19 ha avuto sugli equilibri economici e sociali nel mondo.

In virtù dell’orientamento della rubrica “Idee green” metteremo a fuoco il secondo punto, quello sul pianeta.

I cambiamenti climatici sono in atto ormai da tempo. Chi ne sta pagando le conseguenze? La salute pubblica, l’agricoltura, gli animali, ecc.

Probabilmente la notizia che molti degli habitat sono a rischio, che molte specie vegetali e animali sono estinte o che a breve lo saranno, non desta preoccupazione nelle coscienze comuni, ma in realtà è a rischio anche la salute umana, magari anche di quelle persone che si sono sempre adoperate per il rispetto altrui e del pianeta stesso.

Come disse Gabriele D’Annunzio: “Il mondo è la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori”.

Da anni la comunità scientifica “grida” ad un imminente e preannunciata catastrofe climatica, ma probabilmente il loro monito è rimasto per lungo tempo in una zona a metà e intanto l’avanzamento del cambiamento si fa sempre più pressante.

Allo stato attuale risultano sempre più frequenti eventi climatici estremi, quali nubifragi, uragani, lunghi periodi di siccità, shiftamento delle stagioni e tanto altro ancora.

Forse oltre alle variabili climatiche sono cambiate anche le nostre coscienze! Basta guardarsi intorno, le strade trasbordano di rifiuti e nonostante le amministrazioni pubbliche si adoperino per installare strumentazioni di video sorveglianza, lo scempio si perpetra indisturbatamente. Siamo sicuri che la pandemia da Covid-19 sia servita a stimolare la nostra sensibilità? Ne dubito.

Diversi sono i lavori scientifici sulle stime dell’impatto che avranno i cambiamenti climatici sulla salute della comunità.

Il Bacino del Mediterraneo è colpito da un trend di riscaldamento che porterà ad estati più corte e calde e ad un aumento nella frequenza e severità delle ondate di calore e una riduzione delle precipitazioni.

I principali effetti sulla salute sono correlati agli eventi meteorici estremi (che includono temperature estreme e inondazioni), malattie legate al clima e cambiamenti nelle condizioni ambientali e sociali.

Il cambiamento climatico colpirà i settori vulnerabili della regione, compresa una popolazione sempre più anziana, con una percentuale più elevata di persone affette da malattie croniche, nonché la popolazione povera, che sono quindi più sensibili agli effetti delle temperature estreme.

Nell’ultimo report dell’IPCC il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, viene mostrato come le emissioni globali debbano essere dimezzate entro il 2030 e completamente azzerate al massimo entro il 2050. Qualora così non fosse, e i livelli di CO2 dovessero continuare ad aumentare, ci si attende un aumento della temperatura di oltre 1,5°C entro pochi anni.

Uno scenario molto preoccupante che vedrebbe una compromissione a più livelli ossia:

si arriverebbe al punto di non ritorno sullo scioglimento delle calotte glaciali

aumento degli eventi estremi

scarsità di acqua

aumento della povertà

perdita di specie ed estinzioni

compromissione degli ecosistemi

È ora di rimboccarsi le maniche e pensare alla salute del nostro Pianeta, un Eden, almeno nel momento in cui Dio lo “consegnò” nelle nostre mani!!


La campagna olearia è alle porte

di Thomas Vatrano

Come di consueto, anche quest’anno, si aprono le porte dei frantoi. L’annata 2021/2022 si appresta a prendere forma, tra aspirazioni e tante difficoltà.

Si! Perché il settore oleario, ormai da anni in crisi, deve fare i conti con i prezzi dell’olio che difficilmente consentono una adeguata remunerazione degli sforzi sostenuti per la produzione del famoso oro verde.

Di contro, spesso l’agricoltura (il settore trainante di ogni civiltà) viene condotto come se fosse un hobby, senza l’ausilio dei professionisti del settore e a volte si pensa che sia una pratica nelle “mani” di tutti, dimenticando che dietro la crescita, la difesa e la produzione ci sia la scienza!

Ma torniamo all’”oro verde”, alimento nutraceutico dalle mille proprietà che fanno bene a coloro che lo consumano in modo costante e che soprattutto, scelgono il prodotto di alta qualità.

Per chi non lo sapesse l’olio extravergine di oliva ci difende dallo stress ossidativo, contrastando gli effetti dei radicali liberi o semplicemente previene il cancro, protegge il cuore e le arterie dall’invecchiamento, ci difende dalla depressione, previene gli ictus, il tumore della pelle. Sapevate che l’oleocantale (uno dei biofenoli più importanti) ha delle proprietà simili all’ibuprofene?

L’oleuropeina (il classico amaro contenuto nelle drupe, per chi l’avesse mai assaggiate) aiuta la riduzione del grasso viscerale (temibile nemico!) o la correzione dei livelli di glucosio nel sangue, nonché la normalizzazione dei livelli di colesterolo, ecc. come dimostrato in diversi studi scientifici.

L’annata in corso, stando alle stime degli addetti ai lavori, dovrebbe essere di qualità oltre che di quantità.

La raccolta delle olive, soprattutto nei piccoli paesi, è un momento di condivisione, di stare in famiglia o tra amici, di festa e contatto con la natura. Un tempo la raccolta delle olive si faceva rigorosamente a mano e mediante l’ausilio di pertiche che fungevano da moderni abbacchiatori, con la semplice differenza che il motore erano le braccia allenate degli uomini. Si usava soprattutto raccogliere da terra o dopo che le stesse cadevano sulle reti. Il termine “coccijara” era riferito all’atto in sé della raccattatura singola delle olive a terra, lavoro prettamente femminile, che precludeva forza di volontà e pazienza. Si intonavano canti di festa, si raccontavano storie antiche e perché no, anche un po’ di gossip magari! La pausa pranzo si faceva rigorosamente all’aperto, ai piedi di un grosso albero di ulivo, consumando i doni della terra.

Ora le cose sono un po’ cambiate, le aspirazioni sono diverse, ma voglio pensare che la raccolta delle olive sia ancora un momento di rispetto dei vecchi valori e di sicuro della condivisione, convivialità e appartenenza alla propria terra.

Nei cambiamenti positivi c’è senza dubbio la bacchiatura delle olive, si evita (almeno spero) di molire olive ammuffite o che siano rimaste per tempo sulle reti. Le tendenze attuali vanno verso l’olio di qualità fortunatamente, altrimenti tutti i pregi sopra elencati svanirebbero.

A fine giornata, si raccolgono meticolosamente le reti, avvolgendole in modo garbato, si caricano le cassette sui rimorchi o nelle macchine e si “corre” al frantoio. È emozionante osservare il primo getto d’olio spuntare fuori dal separatore (la fase finale del processo di estrazione), il verde-giallo dell’olio di prima spremitura ci da consapevolezza di quanto grande sia la natura, di quanto bello e importante sia il lavoro degli agricoltori, il settore primario.

Sapete come si riconosce un olio di qualità?? Semplice. Con i nostri sensi! Strano ma vero. Imparate a riconoscere tutti i sentori del flavour, l’insieme dei profumi imprigionati nell’olio d’oliva, costituiti da minuscole molecole che riscaldandosi diventano volatili e inebriano i nostri sensi.

Adesso tocca a voi, assaggiatelo sul pane, sui fagioli alla “pignata” o semplicemente su un cucchiaio da tavola.

E allora…Buona raccolta e soprattutto… Buon olio a tutti!


L’IMPIEGO DEI TRONCHI ATTERRATI PER LA DIFESA DEI VERSANTI DALL’EROSIONE

di Giuseppe Bombino

GLI EFFETTI DEGLI INCENDI

Dopo un incendio distruttivo, venendo meno la funzione protettiva dell’ecosistema forestale, è la gravità la forza che più di ogni altra si impadronisce della montagna. Del bosco non rimangono che alberi inanimati tenacemente fermi nella loro verticalità, e tronchi atterrati, spesso distesi sui versanti più ripidi.

I primi, inevitabilmente, si spezzeranno in occasione delle prime avverse condizioni meteorologiche. Quelli che giacciono al suolo a causa dell’incendio, invece, sono già pronti a scivolare o rotolare verso valle riducendo la capacità idraulica dei corsi d’acqua e minacciando la funzionalità delle infrastrutture.

Il dissesto idrogeologico, inoltre, si manifesta prevalentemente nei versanti acclivi e privi di copertura vegetale, in relazione all’incremento della risposta idrologica (in termini di deflusso e produzione di sedimento) della pendice denudata.

L’IDEA

L’immobilizzazione dei tronchi atterrati rappresenta una valida alternativa rispetto alle onerose operazioni di rimozione, quando possibili. D’altra parte, ancorché degradati, tali tronchi potrebbero svolgere una funzione antierosiva qualora venissero sapientemente sistemati lungo le curve di livello della pendice.

L’AREA DI STUDIO E DI INTERVENTO

A tale proposito, presso l’Azienda Agroforestale Francesco Saccà, in Roccaforte del Greco, è stato realizzato un cantiere pilota per la creazione di “barriere antierosive” mediante l’impiego dei trochi atterrati dai recenti incendi boschivi che hanno interessato quel territorio.

LE BARRIERE DI TRONCHI PER CONTROLLARE I PROCESSI EROSIVI E FAVORIRE IL RITORNO DEL BOSCO

La “barriera di tronchi” costituisce un semplice intervento di sistemazione naturalistica del versante in grado di: (i) interrompere la lunghezza delle direttrici di deflusso, (ii) fermare il terreno eroso e (iii) modificare leggermente la pendenza del versante, con conseguente riduzione degli effetti idrologici a valle. Inoltre, l’azione stabilizzante degli alberi atterrati favorirebbe i processi di rinaturalizzazione del versante denudato.

L’azione stabilizzante degli alberi atterrati, inoltre, può favorire i processi di rinaturalizzazione della pendice agevolando l’insediamento e lo sviluppo delle specie vegetali autoctone.

Questa mattina abbiamo realizzato la prima parcella.

L’EFFICACIA DELL’INTERVENTO NEL BREVISSIMO E MEDIO TERMINE

Brevissimo termine:

– Riduzione del rischio di scivolamento a valle dei tronchi atterrati;

– Riduzione del rischio idraulico

– Controllo dei processi erosivi

Breve-Medio termine:

Creazione di condizioni favorevoli all’insediamento e allo sviluppo delle specie vegetali autoctone

IL GRUPPO DI LAVORO

Il “cantiere”, coordinato da Giuseppe Bombino e dal Gruppo di Ricerca “Difesa del Suolo” del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea (Gianmarco Carrà, Daniela D’Agostino, Pietro Denisi, Antonino Labate, Demetrio Antonio Zema) è stato realizzato in collaborazione con: Studio Tecnico Professionale “Poeta & Valenzise”, Cooperativa “Tutela dell’Aspromonte”, “Calabria condivisa”.

Prezioso è stato il contributo di Silvio Bagnato (Dipartimento di Agraria) e di Francesco Saccà, titolare dell’omonima Azienda agro-forestale, che ci ha ospitati ed ha consentito la realizzazione del cantiere pilota.

UN’OPPORTUNITA’ PER STUDIOSI E STUDENTI DI SCIENZE FORESTALI E AMBIENTALI

Il progetto ha finalità didattiche, dimostrative e sperimentali e offre la possibilità di studiare, interpretare e sperimentare, con un approccio multidisciplinare, le conoscenze afferenti al campo delle Scienze Forestali e Ambientali, e segnatamente riconducibili alla biologia, alla selvicoltura, all’ecologia forestale, alle sistemazioni idraulico-forestali, et cetera.


DISTRETTI DEL CIBO – incontro sul tema, Calabria Condivisa guarda all’imminente bando regionale

Già apparso in fase di preinformazione, sta per essere pubblicato il bando regionale che attua la normativa nazionale sulla nascita dei c.d. “Distretti del Cibo“. Calabria Condivisa organizza quindi un incontro dibattito sul tema, raccogliendo esperti e organizzazioni del settore, per discutere delle prospettive che apre il bando, della struttura dei futuri Distretti, delle opportunità ma anche della organizzazioni tra territori e filiere, per usare la novità come una risorsa per la Calabria.

L’incontro potrà essere seguito sulla pagina del Gruppo Calabria Condivisa https://www.facebook.com/groups/www.calabriacondivisa.it , alle ore 17,00 del 7 Aprile 2021. 


Il ruolo dell’Agricoltura nella mitigazione del cambiamento climatico

Antony Rizzitano

Come crediamo di poter affrontare il cambiamento climatico in corso e poter ripristinare il prezioso e, quasi irrimediabilmente compromesso, equilibrio ambientale?

Come crediamo di rendere sostenibile la produzione di beni e servizi indispensabili alla nostra società?

Quanto siamo disposti a pagare il prezzo del cambiamento per un nuovo paradigma produttivo che sia alla base di un consumo consapevole, duraturo e soprattutto sostenibile?

E’ ormai noto a tutti che la biodiversità degli ecosistemi terresti e dunque la loro protezione siano le principali condizioni per garantire la sopravvivenza dell’intera umanità sul pianeta terra. E’ proprio il settore agricolo, che fa un uso più esteso del territorio (oltre il 90% del territorio è rurale), che costituisce una tra le principali minacce per la biodiversità in quanto, proprio nel processo produttivo intensivo o meglio conosciuto come “convenzionale”, che si determina la semplificazione e l’impoverimento degli ecosistemi naturali divenendo cosi degli agro – ecosistemi.

In tale contesto il maggiore impatto ambientale si realizza, oltre che sulla risorsa idrica e sull’aria, sulla fertilità e conservazione dei suoli agrari, i quali sono alla base della produzione agroalimentare, poiché risorsa irriproducibile e che l’imperante modello agricolo industriale, orientato ad ottenere le più alte rese per unità di superficie, minaccia concretamente mettendo in serio pericolo il futuro dell’agricoltura e, quindi, della sostenibilità alimentare.

E’ proprio in tal senso, invece, che un nuovo modello produttivo agroalimentare può preservare il territorio dal degrado se orientato al rispetto degli equilibri insiti nei sistemi naturali. Basti pensare al ruolo fondamentale e unico che l’attività agricola può assumere nella salvaguardia del territorio rurale (ruolo multifunzione), anche in tema di dissesto idrogeologico, ancora più accentuato dai cambiamenti climatici in atto, dovuto anche al realizzarsi di un effetto sinergico tra i fattori scatenanti. Ma per rispondere alle domande poste all’inizio, bisogna porsi con atteggiamento critico rispetto al livello di benessere che la nostra società ha raggiunto dall’epoca post industriale ad oggi e che basa tutto il proprio livello economico senza prendere in considerazione il costo ambientale sostenuto per la produzione di beni e servizi, legato inscindibilmente a risorse non rinnovabili e quindi non riproducibili nell’orizzonte temporale umano. Per meglio comprendere questo costo ambientale, non valutato, dovremmo poter scomporre le singole voci di costo sostenute nelle diverse filiere produttive, ancor di più per la filiera agro alimentare in quanto di primaria importanza e responsabile di gran parte delle emissioni inquinanti e climalteranti (anidride carbonica e gas metano).

Se solo immaginassimo, per un attimo, di dover sostenere dei prezzi, a dir poco triplicati, di tutti i beni e servizi di cui oggi disponiamo “a basso costo” (costo ambientale non valutato), allora scopriremmo, con nostra grande sorpresa, che un chilo di carne bovina costerebbe forse più di 60 euro (reale costo per il pianeta); oppure scoprire che un kg di fragole, ottenute in coltura protetta nel mese di febbraio, avrebbe forse un costo di 30 euro! Sarebbe dunque interessante un sistema di etichettatura che sensibilizzasse l’opinione pubblica sul reale impatto ambientale dei cibi ( Eco – store o etichetta climatica), come già succede per le informazioni nutrizionali che ci avvisano sul contenuto energetico ( zuccheri, grassi, ecc…) di quel preciso prodotto.

Per meglio comprendere quale sia la reale sostenibilità dei diversi livelli di produzione si utilizza spesso, anche per il settore agricolo e zootecnico,  l’indicatore dell’impronta ecologica ovvero la biocapacità di un territorio di fornire le risorse necessarie, oltre quelle di assorbire i rifiuti o le emissioni prodotte, per  scoprire un sostanziale deficit tra domanda e offerta di risorse naturali. Da qui nasce la necessità e l’urgenza di una transizione ecologica di tutti i settori produttivi ed in particolare di quello agro alimentare.

Proprio di recente la Commissione Europea ha pubblicato l’attesa strategia “Farm to Fork” ( dal campo alla tavola) come parte fondamentale dell’European New Green Deal che mira a trasformare il sistema alimentare europeo rendendolo più sostenibile lungo tutta la filiera produttiva. Sarebbe la prima volta che vari settori produttivi raggiungerebbero un cambiamento radicale, con un approccio olistico, per la tutela del territorio, la gestione delle risorse naturali, l’ecologia e tutto cio’ che ne consegue.

In tutto questo la Calabria, grazie all’enorme patrimonio agro –forestale e ad un conservato modello agricolo, ritenuto fino a poco tempo fa superato, basato su ecotipi locali, bassi input energetici e razze autoctone (es. bovino Podolico) potrebbe rappresentare la base per un nuovo modello produttivo con effetti positivi sull’ambiente, sul reddito degli agricoltori e sul contrasto ai cambiamenti climatici nell’ottica di un’ecologia integrale.

Per tutto ciò, c’è da chiedersi: siamo davvero disposti al cambiamento???