Antony Rizzitano
Come crediamo di poter affrontare il cambiamento climatico in corso e poter ripristinare il prezioso e, quasi irrimediabilmente compromesso, equilibrio ambientale?
Come crediamo di rendere sostenibile la produzione di beni e servizi indispensabili alla nostra società?
Quanto siamo disposti a pagare il prezzo del cambiamento per un nuovo paradigma produttivo che sia alla base di un consumo consapevole, duraturo e soprattutto sostenibile?
E’ ormai noto a tutti che la biodiversità degli ecosistemi terresti e dunque la loro protezione siano le principali condizioni per garantire la sopravvivenza dell’intera umanità sul pianeta terra. E’ proprio il settore agricolo, che fa un uso più esteso del territorio (oltre il 90% del territorio è rurale), che costituisce una tra le principali minacce per la biodiversità in quanto, proprio nel processo produttivo intensivo o meglio conosciuto come “convenzionale”, che si determina la semplificazione e l’impoverimento degli ecosistemi naturali divenendo cosi degli agro – ecosistemi.
In tale contesto il maggiore impatto ambientale si realizza, oltre che sulla risorsa idrica e sull’aria, sulla fertilità e conservazione dei suoli agrari, i quali sono alla base della produzione agroalimentare, poiché risorsa irriproducibile e che l’imperante modello agricolo industriale, orientato ad ottenere le più alte rese per unità di superficie, minaccia concretamente mettendo in serio pericolo il futuro dell’agricoltura e, quindi, della sostenibilità alimentare.
E’ proprio in tal senso, invece, che un nuovo modello produttivo agroalimentare può preservare il territorio dal degrado se orientato al rispetto degli equilibri insiti nei sistemi naturali. Basti pensare al ruolo fondamentale e unico che l’attività agricola può assumere nella salvaguardia del territorio rurale (ruolo multifunzione), anche in tema di dissesto idrogeologico, ancora più accentuato dai cambiamenti climatici in atto, dovuto anche al realizzarsi di un effetto sinergico tra i fattori scatenanti. Ma per rispondere alle domande poste all’inizio, bisogna porsi con atteggiamento critico rispetto al livello di benessere che la nostra società ha raggiunto dall’epoca post industriale ad oggi e che basa tutto il proprio livello economico senza prendere in considerazione il costo ambientale sostenuto per la produzione di beni e servizi, legato inscindibilmente a risorse non rinnovabili e quindi non riproducibili nell’orizzonte temporale umano. Per meglio comprendere questo costo ambientale, non valutato, dovremmo poter scomporre le singole voci di costo sostenute nelle diverse filiere produttive, ancor di più per la filiera agro alimentare in quanto di primaria importanza e responsabile di gran parte delle emissioni inquinanti e climalteranti (anidride carbonica e gas metano).
Se solo immaginassimo, per un attimo, di dover sostenere dei prezzi, a dir poco triplicati, di tutti i beni e servizi di cui oggi disponiamo “a basso costo” (costo ambientale non valutato), allora scopriremmo, con nostra grande sorpresa, che un chilo di carne bovina costerebbe forse più di 60 euro (reale costo per il pianeta); oppure scoprire che un kg di fragole, ottenute in coltura protetta nel mese di febbraio, avrebbe forse un costo di 30 euro! Sarebbe dunque interessante un sistema di etichettatura che sensibilizzasse l’opinione pubblica sul reale impatto ambientale dei cibi ( Eco – store o etichetta climatica), come già succede per le informazioni nutrizionali che ci avvisano sul contenuto energetico ( zuccheri, grassi, ecc…) di quel preciso prodotto.
Per meglio comprendere quale sia la reale sostenibilità dei diversi livelli di produzione si utilizza spesso, anche per il settore agricolo e zootecnico, l’indicatore dell’impronta ecologica ovvero la biocapacità di un territorio di fornire le risorse necessarie, oltre quelle di assorbire i rifiuti o le emissioni prodotte, per scoprire un sostanziale deficit tra domanda e offerta di risorse naturali. Da qui nasce la necessità e l’urgenza di una transizione ecologica di tutti i settori produttivi ed in particolare di quello agro alimentare.
Proprio di recente la Commissione Europea ha pubblicato l’attesa strategia “Farm to Fork” ( dal campo alla tavola) come parte fondamentale dell’European New Green Deal che mira a trasformare il sistema alimentare europeo rendendolo più sostenibile lungo tutta la filiera produttiva. Sarebbe la prima volta che vari settori produttivi raggiungerebbero un cambiamento radicale, con un approccio olistico, per la tutela del territorio, la gestione delle risorse naturali, l’ecologia e tutto cio’ che ne consegue.
In tutto questo la Calabria, grazie all’enorme patrimonio agro –forestale e ad un conservato modello agricolo, ritenuto fino a poco tempo fa superato, basato su ecotipi locali, bassi input energetici e razze autoctone (es. bovino Podolico) potrebbe rappresentare la base per un nuovo modello produttivo con effetti positivi sull’ambiente, sul reddito degli agricoltori e sul contrasto ai cambiamenti climatici nell’ottica di un’ecologia integrale.
Per tutto ciò, c’è da chiedersi: siamo davvero disposti al cambiamento???
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