Anche chi non è avvezzo al linguaggio giuridico non avrà difficoltà a riconoscere la sostanziale differenza tra  Costituzione “formale” e “materiale”. Nella prima sono sanciti i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, nella seconda quei principi si rivelano nella prassi adottata dalle forze politiche in un determinato momento storico.

La fase storica di cui siamo spettatori e protagonisti, nonostante si caratterizzi per uno sconvolgimento delle nostre relazioni precipitandole in distanze di ogni genere, ha innalzato e reso visibile ai nostri occhi una verità incontestabile: l’umanità è interdipendente, indissolubilmente correlata in tutte le dimensioni del suo essere sociale, economico e politico. In realtà lo sono tutte le particelle degli universi conosciuti, a scanso di obiezioni sulla eccentricità dell’umano! Ho inteso muovere da questa constatazione, tra fisica e filosofia, per introdurre il tema della co-progettazione che altro non è se non il frutto di una relazione intelligente finalizzata al consolidamento della res pubblica, del bene comune.

La co-progettazione e la co-programmazione da poco tempo hanno assunto nel nostro paese un rilievo costituzionale, dunque ordinamentale, in grado di diffondere nella galassia degli enti del “terzo settore” e della pubblica amministrazione una ventata di profonda innovazione “nella realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti […]”. Con la pronuncia nr.131/2020 la Corte Costituzionale cristallizza la legittimità dell’art. 55 del Codice del terzo settore (CTS) che introduce il principio secondo il quale “le amministrazioni pubbliche […] nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attivita’ di cui all’articolo 5 (del CTS), assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore,  attraverso forme di co programmazione e co progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241…”.

Agli occhi delle imprese del terzo settore, delle operatrici e degli operatori sociali e dei funzionari pubblici l’argomento dell’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale (ex art.118 CC) rischiava di restare relegato al mondo iperuraneo dei dibattiti pubblici, nonché scarsamente utilizzato, genuinamente e proficuamente, nelle procedure di affidamento e gestione dei servizi e degli interventi sociali. Con la sentenza di legittimità della Corte la sussidiarietà si “procedimentalizza”, assume un rilievo fondamentale e non più residuale nella funzione della programmazione condivisa delle politiche pubbliche. Si dismettono i ruoli del committente e dell’agente, per impersonare la parte dei cooperanti. E’ determinate confermare che non si elimina la titolarità delle politiche pubbliche della Pubblica Amministrazione; al contrario, si orientano gli enti no profit a generare paritariamente e congiuntamente welfare e coesione territoriale, a offrire risposte condivise partendo da una lettura adeguata di bisogni sempre più differenziati.

La Calabria, nonostante il tragico ritardo con il quale dovrebbe dare forma ai famosi piani di zona sociale, ha dinanzi a sé una delle occasioni più importanti di questa fase storica. Può sostanzialmente produrre nei propri ambiti delle comunità agenti, “equordinate”, capaci di perseguire l’interesse generale senza stravolgere i principi della concorrenza tanto cari alla Unione Europea. Per evitare che tutto ciò non incorra in pratiche non trasparenti è di fondamentale rilevanza promuovere la formazione di tutti gli attori coinvolti, apprendere le famose best practice già sperimentate in altri contesti, innervare il tessuto interistituzionale e le organizzazioni sociali “secondo modalità improntate al rispetto di standard di qualità e impatto sociale del servizio, obiettività, trasparenza e semplificazione”.

Renato Scordamaglia