Maurizio Lovecchio

Con la rubrica “Il punto a Mezzogiorno” il magazine online dell’Eurispes, ha aperto un confronto sulle potenzialità ancora inespresse del Sud d’Italia chiamando ad animare questo spazio con il loro contributo di riflessione quanti seguono più da vicino l’evolversi della questione meridionale.  

Abbiamo rivolto la nostra attenzione all’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, un riferimento culturale molto importante per il territorio con un’offerta formativa rilevante che copre 7 macro-aree disciplinari, 23 corsi di studio e 7 corsi di dottorato. Una possibilità concreta per la formazione e la crescita culturale di oltre seimila studenti. Per conoscere meglio questa realtà abbiamo incontrato il Rettore dell’ateneo, Santo Marcello Zimbone.

Quanto è importante la missione di un Ateneo in una Regione come la Calabria in cui il tasso di disoccupazione giovanile è del 48,6%, i NEETS (coloro che non cercano lavoro e non sono impegnati in formazione) sono il 36, 7% e in cui oltre il 21% dei ragazzi abbandona gli studi prima ancora del diploma?

Credo che la missione di un Ateneo che opera in questo contesto, e più in generale al Sud, sia importantissima. Innanzitutto la stessa presenza degli atenei costituisce un principio fondamentale per questa area del Paese e lo è in particolare per gli aspetti della formazione. I numeri sono ovviamente preoccupanti, li conosciamo già da tempo, e la dispersione scolastica è un fatto al quale bisogna porre rimedio. In questo senso il ruolo dell’Università è fondamentale, in quanto traino nei confronti del mondo della scuola, che ha bisogno di una collaborazione più stretta con il mondo universitario. Quindi credo che la presenza e la missione degli atenei, in particolare quelli statali come è il nostro, e ancor di più in una Regione come la Calabria, sia fondamentale e sia forse una delle chiavi per lo sviluppo e per la crescita futura, per dare una prospettiva a questi giovani.

In questo periodo particolarmente complicato, come si è organizzata l’Università Mediterranea rispetto ai servizi e alla didattica? Siete riusciti a dare continuità a studenti e docenti?

Ormai è trascorso quasi un anno, ed è il tempo per fare anche un piccolo bilancio di quello che è avvenuto. Siamo stati tra i primi atenei in Italia ad adeguare il nostro modo di lavorare e anche le modalità di erogazione della didattica. Lo abbiamo fatto in tempi brevi, e devo dire che in questi mesi ho più volte riscosso la soddisfazione degli studenti. Tutto è stato traslato online; c’è stata una repentina metamorfosi all’interno del sistema universitario nazionale e noi non eravamo pronti, ma attrezzati. Questo sicuramente ci ha aiutato, così come ha aiutato in generale l’Università, perché nel campo della Pubblica amministrazione estesa alla scuola è chiaro che se non si è attrezzati e se non si ha un know how specifico è difficile dare delle risposte in tempi brevi.

L’Università ha saputo riorganizzarsi

Noi riteniamo di averlo fatto con tempestività e anche con efficacia, visto che posso dire che non c’è stata una vera e propria soluzione di continuità, ma semplicemente la necessità per gli studenti di abituarsi ad un modo nuovo di partecipare alle attività didattiche. Devo dire che i numeri che ho rilevato sono confortanti, nel senso che la stessa presenza alle attività didattiche è cresciuta. Nella vita ordinaria di uno studente può capitare di perdere qualche lezione, magari per altri impegni; invece, attraverso questi sistemi online abbiamo dato un di più; ci hanno permesso di salvare e organizzare negli archivi delle piattaforme tutte le lezioni, il che significa che uno studente ha la possibilità di rivedere la lezione e di rinfrescarsi la memoria su quello che ha sentito. Complessivamente, mi pare che il giudizio possa essere buono per come lo interpretano gli studenti e che il nostro Ateneo abbia colto con tempestività le istanze provenienti dalla comunità studentesca che, ad oggi, è rimasta ampiamente soddisfatta.

Rimanendo sugli studenti: la tendenza degli iscritti all’Università Mediterranea di Reggio Calabria è in costante crescita, oggi ospita oltre 6mila studenti. I professionisti che escono fuori con la laurea della Mediterranea di Reggio Calabria hanno una formazione pronta per le richieste del mercato regionale calabrese? Qual è la possibilità che ha uno studente o un di trovare un’occupazione in Calabria?

L’attività formativa che si fa negli atenei statali, in particolare, e anche in alcuni privati guarda oltre i confini regionali. Il mondo della formazione universitaria ha subìto delle modificazioni in questi ultimi anni, e il raggio d’azione si è ampliato. Il mercato non ha più dei confini, ma è chiaro che la presenza di un Ateneo in una Regione consente di rafforzare il collegamento con le attività produttive di quel territorio. Noi siamo fortemente collegati al tessuto produttivo regionale che ha delle specificità precise. Come sappiamo, la Calabria non ha un tessuto industriale, ma esistono delle realtà eccellenti che fanno fortuna anche fuori dall’Italia. I nostri ragazzi ricevono una formazione che spazia molto, perché i corsi di studio che abbiamo attivato e anche incrementato in questi anni coprono àmbiti molto solidi, che vanno oltre le mode e danno la possibilità a chi studia qui di acquisire una formazione che può spendere anche nella Regione.

La Calabria ha grandi potenzialità

Le potenzialità della Calabria sono purtroppo buona parte inespresse o inutilizzate; tuttavia esiste un mondo che cammina e non è tutto nero come spesso viene dipinto dai mass-media. La Calabria è una Regione abbastanza dinamica, con delle realtà anche eccellenti che esprimono una domanda e questa può essere soddisfatta dai ragazzi che noi formiamo e che si laureano qui. Il livello di uniformità nello standard formativo è abbastanza elevato, e il nostro Ateneo è bene attrezzato dal punto di vista dei laboratori di ricerca su temi di grande interesse per la Regione (per le sue caratteristiche, le sue peculiarità e le attività produttive).

Sicuramente nel territorio regionale una parte importante dello sviluppo è legata al settore agricolo. Secondo lei lo sviluppo della Calabria può passare dal settore agricolo che, ricordiamo, è un comparto che conta il 20% del totale degli impiegati di tutta la Calabria e il 18% delle imprese iscritte alle varie camere di commercio? È un settore che può trainare e può rappresentare lo sviluppo futuro della Calabria, considerato che settore agricolo significa anche investimenti in innovazione, ricerca e sviluppo?

La mia memoria va subito agli anni intorno al 2011, quando il mondo intero ha attraversato una crisi economica importante che è simile a quella che sta attraversando oggi per altre ragioni. Quella fase, molto critica, fu superata grazie soprattutto al comparto agricolo che, come dicono tutte le statistiche, ha sostenuto il mondo in quella fase e lo sosterrà anche in futuro. Ecco, con questa considerazione sullo sfondo, devo dire che la Calabria in aggiunta ha delle potenzialità nel comparto agricolo e forestale che potrebbero farle fare il salto di qualità. Siamo certamente all’avanguardia nella produzione e nella specificità.  Questo dovrebbe far riflettere i giovani, perché l’investimento nell’agricoltura è un investimento in un certo senso riparato da questi “grandi cicloni dell’economia” contemporanea.

Agricoltura e innovazione: un campo su cui puntare

D’altra parte, la formazione che noi svolgiamo nel campo agricolo, forestale e agroalimentare è ormai consolidata: abbiamo un’offerta formativa abbastanza completa da parecchi anni e, devo dire, anche con ottimi risultati nel campo dell’innovazione. Quest’ultima passa anche dal lavoro che noi facciamo tutti i giorni con i nostri ragazzi, che hanno grande capacità e talento, mezzi per intraprendere dei percorsi per costruire delle attività nel campo agricolo e di garantirsi un futuro. Occorrerebbe pure che le famiglie guardino con attenzione a questi àmbiti per dare ai loro ragazzi una prospettiva che anzi mi sento di dire è più certa in questo settore rispetto ad altri.

Recentemente, sul Quotidiano del Sud, Lei ha annunciato un programma di interventi da parte di ricercatori e studiosi dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria per la promozione e la valorizzazione dei borghi della Calabria. il Recovery Fund pare riservi una parte cospicua di risorse alle aree interne: che cos’altro serve per sperare che lo sviluppo regionale calabrese passi anche dalle aree interne?

A mio avviso serve tanto altro: il Recovery fund non so se sarà effettivamente un’opportunità e se comprenderà delle misure in questo senso e in questa direzione. La problematica della valorizzazione dei borghi, che per fortuna è riemersa durante l’emergenza sanitaria, è una problematica a mio avviso molto complessa e molto variegata, che richiama un ventaglio di aspetti tutti importanti. D’altra parte, occorre anche individuare il modello di sviluppo giusto, perché le misure che vengono adottate e finanziate per l’intero Paese non è detto che valgano allo stesso modo in tutte le realtà. Quindi, questo viaggio che noi stiamo facendo dopo aver invocato i contributi dei nostri professori e ricercatori sui vari temi e aperto un dibattito nella carta stampata, serve a mobilitare, da un lato, la sensibilità delle energie buone e delle idee dei giovani, dall’altro, a far capire che se si vuole puntare con determinazione a questo obiettivo bisogna stare attenti alle scelte che si fanno o che si invocano.

Non è detto che qualsiasi misura funzioni come un’altra

La Regione ha delle caratteristiche ben precise ed ha anche dei limiti che deve superare: le misure vanno tarate, vanno pensate tenendo conto non solo della sensibilità della cittadinanza, ma anche del contesto, mi lasci dire, scientifico che si occupa di questo argomento da tanto tempo. Questo tema è così tanto variegato che merita una serie di focus sui vari argomenti per cercare di capire cosa è meglio. Non è detto che il fattore limitante sia necessariamente e solamente quello finanziario. a volte ci sono delle misure banali che possono produrre dei risultati che hanno un grandissimo valore economico, accanto all’auspicio dei finanziamenti e del sostegno che il Governo potrà dare, per esempio, attraverso il Recovery Plan. Bisogna riflettere anche sul modello da adottare, sul sistema da mettere in campo per far sì che i giovani sentano l’opportunità e non solo il bisogno di investire il loro patrimonio di idee e le loro energie nella creazione di attività che poi servirebbero a valorizzare i borghi. Noi siamo ricchi, come Calabria, di una quantità enorme di piccoli centri e non abbiamo soltanto i borghi di montagna e di collina, ma abbiamo anche quelli lungo la costa: le potenzialità ci sono. Bisogna capire come aiutare i giovani a sviluppare la loro capacità imprenditoriale e, se questo avverrà, credo che si potrebbe generare un indotto importante in un mondo che cambia. Non è un caso che questo tema sia riemerso proprio adesso. I cambiamenti nelle modalità con cui si lavora, l’accorciamento paradossale delle distanze grazie a questi sistemi che adesso siamo costretti ad utilizzare, hanno cambiato la nostra prospettiva e potrebbero venire incontro alle esigenze che questi piccoli centri hanno. Piccoli centri ricchi di un patrimonio culturale, archeologico, religioso, artistico che ci fa spiccare in Italia. Quindi credo che sia il momento di spingere sull’acceleratore ma, soprattutto, sul modo con cui tendere a questo obiettivo.

In conclusione, quale può essere un messaggio di speranza o comunque un messaggio per quei giovani calabresi che decidono di studiare all’università Mediterranea di Reggio e che decidono di restare in Calabria?

Il messaggio non può che essere fiducioso! L’ottimismo è una chiave che aiuta a superare gli ostacoli. Ritengo che quello che sta accadendo porterà delle novità e dei cambiamenti importanti anche in questa Regione. Chi decide di studiare nel proprio territorio ha ovviamente dei privilegi, fosse anche il fatto che studia e trascorre una fetta importante della propria vita nel luogo che è vicino ai propri affetti. La vita dello studente non è soltanto un percorso di studio, ma è anche una vita a tutto tondo. Qui si riesce a vivere abbastanza bene: si spende poco e questo è importante, si può acquisire la formazione per andare a raggiungere obiettivi anche ambiziosi. Quindi, non manca nulla da questo punto di vista.

Anche in Calabria il vento sta cambiando

Quello che io percepisco è che il vento sta cambiando e che nell’imminente futuro potrebbero nascere delle importanti opportunità. Noi stessi come Università ci stiamo impegnando per favorire investimenti del settore privato nella nostra Regione, per favorire la delocalizzazione delle attività di grandi aziende multinazionali, perché adesso ci sono le condizioni per farlo e i sistemi innovativi di lavoro che stanno prendendo piede aiutano anche da questo punto di vista. Chi studia a Reggio Calabria deve sapere che fra qualche anno il panorama che ha intorno attualmente potrebbe essere cambiato e anche sostanzialmente. Quindi, invito le famiglie e i ragazzi a riflettere su questo. Perché andare a studiare altrove non ti dà una garanzia in più dal punto di vista della formazione, ma anzi ti fa venire incontro a delle spese (a volte anche notevoli) di cui occorre tener conto e, soprattutto, ti priva della possibilità di dare il tuo contributo alla tua terra. Questa terra ha delle potenzialità che, secondo me, fra qualche anno verranno alla luce, e tutte insieme. Chi decide di studiare qui e di completare la propria formazione in Calabria credo che possa essere anche premiato; è opportuno correre, affrontare questa sfida, non abbandonare i remi, ma andare avanti, sapendo che in futuro possono crearsi delle opportunità di lavoro e successo anche in questa terra.

*Maurizio Lovecchio è Direttore della sede Eurispes della Calabria.