Bakhita Ranieri

Fin dai tempi più antichi le conchiglie hanno svolto un ruolo importante nella vita dell’uomo. Grazie all’enorme varietà di forme e dimensioni, hanno assunto usi e significati diversi. Inizialmente trovate in natura poi, successivamente lavorate, vennero utilizzate come recipienti, come strumenti musicali, come moneta, come monili; in seguito già a partire dai greci e dai romani, anche come elemento decorativo nelle varie forme artistiche sia in pittura che in scultura che in architettura. Dal bisso si ricavavano pregiatissimi e costosi tessuti con i quali si confezionavano, probabilmente già nell’antichità, vesti ostentate come veri e propri status symbol dai personaggi più influenti delle società. Molti archeologi e filologi hanno discusso sulla possibile identificazione già a partire dall’Età del Ferro della seta marina con la fibra identificata durante tutto il I millennio a.C. dal termine bisso. Un tempo esisteva un raro e costoso materiale tessile dai riflessi dorati e scintillanti, simili alla seta: il bisso marino, prodotto della Pinna nobilis Linneo, un grande mollusco bivalve che vive in diverse zone del Mediterraneo, in alcuni tratti costieri della Sardegna, del Golfo di Taranto, di Gallipoli e Porto Cesareo nel napoletano, della Dalmazia e della Grecia.

Fra le produzioni tessili la Pinna nobilis era una delle più ricercate, produceva filamenti adatti a essere lavorati tramite cardatura e filatura, fino ad ottenere un filato assai sottile e resistente.

Da abbondanti raccolte del mollusco, le popolazioni ricavavano sufficiente filo per realizzare tessuti o ricami ed impreziosire vesti di personaggi di alto rango in campo religioso come in campo politico e persino nello spettacolo come danzatrici e celebri etere, chi doveva apparire e rifulgere di luce doveva indossare vesti in bisso. E vi era una vera e propria industria del bisso supportata da manodopera abbondante e a buon mercato.

In varie fonti, si narra che personaggi illustri di epoca romana solevano indossare toghe dall’aspetto aureo poichè, all’impatto con la luce solare o con riflessi di luci artificiali, la bruna e bronzea tonalità del tessuto si illuminava di riflessi dorati, caratteristica che è tipica del bisso.

La lavorazione del bisso piuttosto laboriosa ha origini antichissime. Quasi sicuramente nacque, in area mediterranea e in Medio Oriente dove sorsero le prime civiltà (Egizi, Fenici, Caldei, Ebrei) che furono in grado di raccogliere e trattare questi filamenti con straordinaria abilità: dopo la raccolta infatti il bisso grezzo deve essere pulito e pettinato più volte, messo in ammollo in succo di limone e infine filato a mano fino ad ottenere un prezioso tessuto serico, finissimo. Per ottenere 1 kg di bisso grezzo e produrre così 200-300 grammi di seta di bisso marino, occorrono fino a 1.000 conchiglie, è quindi facilmente intuibile perchè questo materiale sia diventato un prodotto di lusso.

Si poteva ottenere una filatura a filo liscio, adatto per i ricami, o a filo ritorto, cioè doppio, più resistente e quindi adatto per l’orditura che poteva essere a muro, come si usava in Grecia e in Persia, oppure a terra, come in Mesopotamia. La filatura manuale, eseguita con rocca e fuso di legno di piccole dimensioni, era molto difficile, l’abilità delle filatrici consisteva nell’ottenere filati sottilissimi e di diametro uniforme. La lavorazione più diffusa era quella a maglia per realizzare indumenti come scialli, guanti, cappelli e cravatte. Ma i fili venivano anche tessuti, o ricamati su stoffe oppure lavorati in modo particolare per formare una sorta di pelliccia.

Inoltre non solo il bisso, ma anche la conchiglia intera era utilizzata: la carne come cibo, le perle come decorazione, la madreperla per bottoni e per lavori di intarsio, il guscio per vasi, paralumi o come souvenir e i ciuffi di bisso come rimedio nella medicina popolare.

Bisso marino ripulito

Quasi tutto quello che oggi sappiamo sulla raccolta della Pinna nobilis, sulla raccolta del bisso, sulla fabbricazione e sulla lavorazione del bisso marino proviene da fonte del XVIII, XIX e della prima metà del XX secolo. Quasi la metà di tutti i reperti catalogati è semplicemente lavorato a maglia rasata, in parte con piccoli disegni. Sono conservati anche oggetti fatti all’uncinetto.

È Pausania infine a fornirci la più antica informazione occidentale sulla seta e il modo di produrla. Lo fa parlando di materie prime per la filatura, vegetali e coltivate nel territorio greco dell’Elide.

Il più antico manufatto in seta marina, rinvenuto archeologicamente, risale effettivamente solo al IV secolo: le fibre, vennero alla luce nel 1912 in una tomba femminile ad Aquincum (Budapest), per essere poi distrutte da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale.

È del XIV secolo una cuffietta finemente lavorata a maglia rinvenuta nel 1978 durante una campagna di scavi archeologici presso la Basilica di Saint Denis a nord di Parigi. Già alla fine del XVIII secolo sono testimoniati tessuti con decorazioni intessute e ricamate di bisso marino. Nella prima metà del XIX secolo appare la lavorazione dei ciuffi di fibra a pelliccia. Al Field Museum of Natural History di Chicago è esposto un manicotto acquistato da Taranto nel 1893 per l’esposizione mondiale di Chicago. Si tratta di una lavorazione cosiddetta a pelliccia con i ciuffi di fibra cuciti interi, strato su strato, su di un tessuto di base, il cui risultato è una pelliccia che brilla dei dorati fili di bisso.

Berretto in bisso marino fatto a mano, XIV secolo

La colorazione naturale del ciuffo della Pinna nobilis ripulito e pettinato, è variabile, a seconda della posizione e forse anche in base all’età della conchiglia. Il colore quindi potrà variare dal bronzo al rame, al giallo oro, al marrone, al verde oliva fino al nero.

Il bisso viene spesso affiancato alla porpora, sostanza colorante con la quale i Fenici tingevano tessuti preziosi. La pesca delle pinne utilizzate per la confezione del bisso, come anche quella dei murici per la porpora, avrebbe avuto uno sviluppo continuativo nel periodo bizantino tanto che ancora nell’VIII secolo si esportavano bisso e porpora non soltanto nelle corti longobarde, ma anche in quelle occidentali e orientali.

La seta fu nota solo a partire dall’età ellenistica e le stoffe pregiate e costose di seta ebbero una maggiore diffusione a partire dall’età imperiale romana. In Grecia le stoffe di seta venivano importate per poi essere disfatte e, con il filo ottenuto, poter confezionare nuovi tessuti.

Fino alla metà del secolo scorso il bisso veniva ancora raccolto e lavorato in Puglia, nel territorio di Taranto con il nome di lanapenna. In Sardegna, invece, la morbida fibra dal colore bruno-dorato viene filata, tessuta e utilizzata per realizzare ancora oggi preziosissimi ricami.

Bisso lavorato a uncinetto

Le tecniche della filatura e della tessitura fanno parte della vita quotidiana dell’uomo fin dai tempi più remoti. Ogni famiglia provvedeva autonomamente alla maggior parte delle stoffe necessarie per la confezione delle vesti. Era indispensabile quindi sia filare che possedere un telaio.

Data la deperibilità del legno con i quali i telai erano fabbricati, non se n’è conservato nessuno ma spesso si trovano nel terreno, come indicatori archeologici, un gran numero di pesi da telaio in terracotta. La necessità di coprirsi per ripararsi dal freddo e dalle intemperie, avrà prima indotto l’uomo a fabbricare tessuti rozzi in sostituzione delle pelli, in seguito, l’ambizione di ornarsi avrà sviluppato la produzione di tessuti più fini per colori e disegni.

Le donne vengono indicate generalmente come filatrici e tessitrici: il lavoro della lana è il simbolo della donna come il lavoro delle armi quello dell’uomo.

Gli elementi più comuni che indicano l’attività della filatura e quella conseguente della tessitura sono le fusaiole e i rocchetti. Talvolta sono documentati pesi da telaio di forma per lo più troncopiramidale. Associata al fuso doveva essere la conocchia, che si ritrova solo in corredi ricchi, in osso, bronzo o in vetro, negli altri doveva essere in legno come il fuso.

Nell’antichità la tessitura era gestita in ambito familiare o con piccole imprese artigianali, ma già presso i Romani le fasi della lavorazione della lana e del lino cominciarono ad essere organizzate in officine specializzate in una sola lavorazione dove la manodopera era fornita dagli schiavi. Con la rete dei commerci giungevano in Italia materie prime e coloranti non solo dal Mediterraneo ma anche dall’Oriente.

Attraverso fonti prevalentemente letterarie, si ha davanti un excursus di figure femminili legate al lanificium in particolare eroine mitiche e divinità, collocate in epoca arcaica dagli autori che ne danno testimonianza. Per Omero, la pratica della tessitura e le competenze ad essa inerenti rientrano tra le caratteristiche più illustri di una donna di nobili origini. A Troia Elena (Iliade III, 165–169) e Andromaca (Iliade XXII, 566–569) sono descritte occupate a tessere, nei loro appartamenti, vesti ricamate. Sono indicative anche le scene in cui la maga Circe o la ninfa Calipso lavorano al telaio accompagnandosi con il canto. La prima, “Circe dentro cantare con bella voce sentivano, tela tessendo grande e immortale, come sono i lavori delle dee, sottili e splendenti e graziosi” (Odissea X, 220–224,), la seconda “cantando con bella voce e percorrendo il telaio con spola d’oro, tesseva(Odissea V, 61–62). Il telaio in uso nel mondo antico era quello verticale, al quale le donne potevano tessere stando sia in piedi che sedute, Ovidio narra della lavorazione della lana cui sono particolarmente dedite le figlie del re Minia. Prima si accenna alla filatura, subito dopo si fa riferimento all’applicazione alla tela, ovvero alla tessitura: “Soltanto le figlie di Minia restano a casa… cardano la lana, o torcono fili col pollice o stanno curve sul telaio… e una, tirando con agili dita il filo, dice: mentre le altre fanno vacanza per assistere a quella fandonia di rito noi, da parte nostra, impegnate nelle attività di Minerva, dea migliore, rendiamo più leggero… l’utile affaccendarsi delle mani…”.

L’arte del tessere era tenuta in altissima considerazione presso gli antichi che onoravano Atena Minerva quale protettrice delle opere femminili ed in particolare della tessitura. È ben noto il mito di Aracne, l’abilissima tessitrice della Lidia, che non volendo riconoscere di aver già ricevuto dalla dea le sue straordinarie capacità, osò sfidarla in una gara, vinta, fu poi trasformata da Atena in ragno, simbolo dell’abilità di filare e di tessere. La personalità di Atena, in particolare nel suo aspetto di Ergane, è contraddistinta dalla filatura e dalla tessitura, dono della metis divina al sapere femminile. Numerose raffigurazioni vascolari di V a.C. illustrano scene di donne impegnate in vari momenti della filatura e della tessitura. Rappresentate sedute su uno sgabello, esse tengono le gambe leggermente divaricate e a volte la veste arrotolata sulle ginocchia, in una posa che suggerisce movimento e instabilità dinamica, con le braccia sollevate, inoltre, reggono la conocchia in una mano e il fuso nell’altra, mentre un kalathos poggiato ai piedi raccoglie il tessuto. Il telaio a pesi è il tipo di telaio che veniva usato nell’antichità. È un telaio molto semplice che ha la caratteristica di cominciare a costruire il tessuto contrariamente ai telai moderni, nella sua parte alta. Fu il primo tipo di telaio inventato dall’uomo, nel periodo neolitico e rimase in uso presso popoli antichi del Mediterraneo fin dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente. Il telaio verticale era rigido e poneva dei limiti alla dimensione dei tessuti. Se si dovevano ottenere pezze di lunghezza superiore all’altezza delle tessitrici, era inevitabile che si sviluppassero piani di lavoro rialzati.